Mentre infuria il toto-nomi per il Quirinale, più simile ad una nomitation del Grande Fratello che a un rito istituzionale, c'è un termine che è rispuntato fuori nel dibattito politico: patriottismo.
Per prima è stata Giorgia Meloni a lanciare il sasso nello stagno, invocando un "patriota" al Colle. Il nome che risponderebbe a questo requisito, secondo Fratelli d'Italia, è quello di Silvio Berlusconi. Il motivo? Le cicatrici del golpe finanziario di Monti del novembre 2011, di cui il magnate di Arcore fu vittima.
Peccato che nel centrodestra ci si dimentichi (o si faccia finta di dimenticare) tutta la storia. Il Governo Berlusconi infatti già nel marzo 2011 diede un vergognoso assenso all’intervento militare in Libia, sottoscrivendo la partecipazione italiana a una guerra mossa contro l’interesse nazionale. Ed è certamente vero che Berlusconi pochi mesi dopo fu indotto alle dimissioni da un golpe a colpi di spread ordito da Deutsche Bank e BCE e sostenuto da Washington, ma questi si comportò tutt'altro che da patriota. Di fronte all'attacco congiunto alla sovranità italiana, l’accorto Silvio preferì salvare se stesso e le sue aziende battendo in ritirata piuttosto che opporsi con le unghie e con i denti.
A seguito delle parole della Meloni, Letta, fresco di invito all'incontro di Atreju, ci ha regalato una perla che rimarrà negli annali. Il segretario del PD ha infatti voluto precisare che il patriottismo, in Italia, non possa che "essere europeista" altrimenti – tenetevi forte – risulterebbe "anti-italiano". Da non crederci. Un piddino che disquisisce di patria equivale ad un piromane che parla di salvaguardia dei boschi.
E in queste giornate di uscite e posizionamenti in vista della corsa al Colle, neppure una voce fra Fratelli d’Italia e Lega, figurarsi da Forza Italia, ha lontanamente fatto cenno alla possibilità di mettere in discussione la gabbia europea che ci stritola da tre decenni. Dalle parti del centro-destra, le battaglie, per quanto all'acqua di rose, per la sovranità sono state definitivamente accantonate e messe in soffitta.
La verità è che il nobile sentimento del patriottismo è incompatibile con il servilismo esterofilo, con il predominio del sovranazionale e con l'ideologia globalista della dissoluzione delle identità. Un patriota morirebbe per l'Italia, mai per Maastricht.
E quindi eccoci qui, ad attendere il nome del prossimo inquilino del Palazzo del Quirinale, ormai ridotto da anni ad ambasciata straniera in terra italica. Per tragica ironia della sorte, la certezza è una sola: chiunque salirà al Colle non sarà un patriota. Anzi, al pari dei suoi predecessori Napolitano e Mattarella, il nuovo Presidente della Repubblica stenderà tappeti rossi dinnanzi alle mire transalpine, ponendo sempre le direttive europee al di sopra della Costituzione e dell'interesse nazionale.
Nel pieno della liquidazione economica e democratica dell'Italia, avremmo bisogno davvero di un patriota al Quirinale. Un sincero uomo di Stato, innamorato della propria terra e pronto a difendere il proprio popolo. Purtroppo oggi tutto questo è ancora fantascienza.