Pur rimanendo un tema caldo e divisivo nel dibattito pubblico italiano, oggi più di ieri l’energia nucleare si configura come una carta fondamentale per affrontare le questioni in materia di autonomia e sicurezza energetica, di stimolo all’industria, di innovazione tecnologica e tutela dell’ambiente. Vediamo quindi quali sono stati gli ultimi sviluppi nel complesso panorama normativo e tecnologico della scissione dell’atomo in Italia così da capire quali sono le prospettive concrete perché il nostro Paese possa tornare ad attingere a questa fonte di energia e dotarsi di una relativa filiera industriale.
Il quadro normativo
Dopo che il 30 luglio 2025 la Conferenza Unificata – che riunisce il Governo centrale insieme a Regioni ed Enti locali – ha espresso parere positivo, il 2 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il disegno di legge-delega in materia di energia nucleare sostenibile su proposta del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE). Lo schema di legge ha superato il vaglio delle competenti commissioni parlamentari e prevede che il Governo adotti, entro 12 mesi, i decreti legislativi necessari per disciplinare la reintroduzione del nucleare in Italia.
La legge-delega mira a colmare il vuoto legislativo a seguito dei referendum abrogativi del 1987 e del 2011. Dei tre quesiti referendari del 1987 è applicabile oggi solo l’abrogazione del potere sostitutivo dello Stato nella localizzazione degli impianti nucleari (in caso di inerzia o opposizione di regioni e comuni). Nel 2011 si rese inoltre vano il mandato al Governo di implementare un pacchetto legislativo che avrebbe consentito, in base alle risultanze di una verifica sulla sicurezza degli impianti da localizzare, il ritorno all’energia nucleare in Italia. Tuttavia, il quadro tecnico-normativo attuale prevede la possibilità di autorizzare la costruzione e l’esercizio di centrali nucleari e di impianti del ciclo del combustibile sul territorio nazionale.
Il nuovo provvedimento si fonda sul principio di neutralità tecnologica, secondo cui le politiche energetiche non devono favorire a priori una tecnologia rispetto ad altre, ma stabilire obiettivi oggettivi come la sicurezza, la continuità dell’approvvigionamento energetico e l’impatto ambientale. In questo modo è stato possibile sorpassare lo stallo legislativo che impediva un ritorno allo sfruttamento dell’energia nucleare su territorio italiano.
Il futuro (ma non troppo) del nucleare
La legge-delega cita espressamente i cosiddetti SMR (Small Modular Reactors, reattori modulari di piccola taglia) che trasferiscono l’ingegneria dei reattori su impianti di piccola taglia con costruzione modulare per agevolarne l’industrializzazione e il collocamento distribuito. Oltre a questi, sono menzionati anche gli AMR (Advanced Modular Reactors, reattori modulari innovativi) che implementano le ultime innovazioni nella fisica e nella progettazione dei reattori sviluppate in ambito internazionale, con miglioramenti significativi in termini di sicurezza, ciclo ed utilizzo del combustibile, efficienza, generazione di scorie e resistenza alla proliferazione di armi nucleari.
La configurazione modulare degli SMR porta con sé economie di scala – standardizzando i componenti, moduli e financo i reattori stessi – e tempi ridotti di costruzione e di ritorno economico degli investimenti. Le taglie più piccole (30-300 MW) li consentono di essere collocati in prossimità dei centri di maggiore consumo, soprattutto industriali, potendo così sfruttare anche la cogenerazione di calore e aumentare significativamente l’efficienza complessiva di tutto l'impianto.
Al momento esistono solo tre impianti SMR operativi: in Russia (70 MW), Giappone (30 MW) e Cina (210 MW). Sono invece 83 le diverse tipologie di progetti SMR in varie fasi di sviluppo in tutto il mondo, soprattutto in Giappone, USA, Federazione Russa, Francia, Canada, Regno Unito ma anche in Corea del Sud, Sud Africa, Polonia, Repubblica Ceca e Paesi Bassi. Numeri che attestano la fertilità del settore e le elevate aspettative su questa tecnologia.
Il confronto con le rinnovabili non programmabili
Stando al Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), l'obiettivo sarebbe quello di installare 0,4 GW di SMR entro il 2035 per arrivare al 2050 con complessivi 8 GW di nucleare da fissione. “Uno scenario 'conservativo', caratterizzato da uno sviluppo di impianti nucleari pari alla metà del potenziale massimo installabile ricavato dalle analisi”, secondo il Ministro Picchetto Fratin. A noi di Pro Italia questa quota sembra decisamente contenuta considerando che nel 2024 la potenza efficiente di generazione elettrica totale in Italia era già di 138 GW e che, secondo il PNIEC 2024 si vuole arrivare a 300 GW di generazione elettrica da fotovoltaico ed eolico. L’Italia è già protagonista nello sviluppo del nucleare di prossima generazione e ben presente nella filiera industriale della relativa componentistica, quindi sembra doveroso arrivare a tutto il “potenziale massimo installabile”. Una soglia che riteniamo esser ben più alta di 16 GW al 2050 visto e considerato che Paesi come la Slovacchia, la Svizzera e la Francia hanno notoriamente capacità nucleare installata che arriva fino al 60% del fabbisogno.
Risulta piuttosto chiaro che questo approccio conservatore vuol essere una concessione alle nutrite lobby delle rinnovabili che, negli ultimi decenni, hanno saputo influenzare la politica energetica di molti Paesi europei dopo essersi radicate a Bruxelles. Tanto per fare un confronto, val la pena ricordare che nel corso del solo 2024 l’Italia ha installato ben 7,48 GW di nuovi impianti rinnovabili (prevalentemente fotovoltaici). Impianti che però, giusto ricordarlo, non hanno evidentemente gli stessi requisiti civili, ingegneristici e logistici dei reattori nucleari e sono quindi di più facile proliferazione.
Data l'intermittenza e la scarsa programmabilità di solare ed eolico, l’apporto effettivo di energia elettrica al consumo in Italia oscilla tra il 15% e l’88%, una soglia, quest'ultima, raggiungibile solo nell’1% delle ore di massima penetrazione. Per far fronte a questi notevoli scostamenti in tempo reale fra domanda ed offerta di energia elettrica c’è quindi bisogno di “potenza rotante” (impianti turbogas) sempre a disposizione. Quando si parla di costi dell'energia è quindi fuorviante addurre soltanto i bassi costi dell’elettricità prodotta da solare ed eolico, perché l’elettricità generata “ora” e “su richiesta” ha un prezzo molto più alto rispetto a quella generata “diverse ore dopo” e “non programmabile”. Oltretutto, la rete elettrica è già satura nei punti nevralgici ed aumentare la capacità di elettrificazione – soprattutto attraverso fonti altamente fluttuanti – mette sotto grave pressione il sistema elettrico che attualmente ha un margine di adeguatezza (capacità di generazione elettrica in eccesso rispetto al fabbisogno nell’1% delle ore più critiche dell’anno) già precario, intorno al 10%, o appena 5 GW (era al 50% nel 2013).
Per questo complesso di motivi il costo sistemico della produzione elettrica da fonti intermittenti è decisamente più alto del costo del nucleare sull’intero ciclo di vita e, ulteriore criticità, aumenta con la crescente penetrazione degli impianti eolici e fotovoltaici nel sistema energetico.
Gli effetti di un’eccessiva dipendenza dall’energia fotovoltaica si è drasticamente palesata in Spagna lo scorso 28 aprile: benché il rapporto ufficiale sull’accaduto eviti accuratamente di incolpare le rinnovabili, accusando invece una “mal gestione nella programmazione della capacità produttiva” insieme all’insorgere di “oscillazioni anomale”, è evidente che (a) la programmazione è più critica quando vi è una penetrazione di fonti elettriche fluttuanti che a momenti tocca il 100%, (b) le oscillazioni sono intrinseche alle fonti eolico e solare in funzione della distribuzione dei flussi meteorologici, (c) in assenza di “potenza rotante” la reazione a catena che si è verificata (quella per cui un settore dopo l’altro della rete spagnola è andato in sicurezza per tutelare gli impianti di produzione) è inevitabile, dato che soltanto i sistemi a turbina possono sostenere la frequenza di rete per quei pochi secondi che occorrono a intervenire in caso di problemi. Si veda a questo proposito il nostro approfondimento sull’evento.
L’energia nucleare funziona, per l'appunto, in maniera opposta: offrendo una produzione naturalmente stabile, viene utilizzata per coprire lo zoccolo di domanda di base lasciando la copertura dei picchi di domanda (molto prevedibili) agli impianti turbogas e all’idroelettrico (una fonte rinnovabile ma programmabile, in crescita in Italia, che soddisfa già una quota stabile del 17% della domanda totale di elettricità).
Secondo Confindustria, l’opzione che contempla l’installazione dei soli 8 GW di potenza nucleare comporta già un risparmio (rispetto allo scenario senza alcun impianto nucleare) pari a circa 17 miliardi di euro sull’intero orizzonte temporale. Perché allora non arrivare a 170 miliardi di risparmio espandendo la potenza nucleare installata a discapito di ulteriori installazioni di rinnovabili e guadagnando anche in termini di affidabilità della rete?
Altri aspetti tecnici della filiera del nucleare
L’uranio aiuta nella differenziazione delle fonti primarie di energia per garantire una maggiore affidabilità di tutta la produzione energetica: le miniere di uranio infatti sono distribuite in Paesi relativamente stabili dal punto di vista geopolitico come Kazakistan, Canada, Namibia, Australia, Uzbekistan e Sud Africa. Non rilasciando prodotti di combustione, la fissione è un processo molto pulito, a condizione che le scorie radioattive – di volume estremamente esiguo (la quantità di rifiuti ad alta attività prodotti se tutta l’energia utilizzata da una persona durante la sua vita derivasse da fissione nucleare starebbero all’interno di una lattina da 33 cl) – siano gestite con sommo rigore. E con i reattori a ciclo chiuso, queste possono essere ridotte significativamente anche in termini di attività nel tempo.
Ad aprile 2025 (in curiosa simultaneità con il black-out spagnolo: ennesimo contrasto di politiche ed esiti fra l’Europa green e la Cina mean), si è fatta largo nel dibattito pubblico la notizia del reattore al torio da 2 MW esercito nel deserto del Gobi dall’Accademia delle Scienze cinese, che è stato rifornito con successo senza interrompere la generazione di potenza. Altra scommessa promettente del settore nucleare, il ciclo al torio potrebbe attingere a riserve ancora più vaste e meglio distribuite di combustibile nucleare (rispetto all’uranio), soprattutto considerando le proprietà auto-fertilizzanti – ovvero la capacità di generare a partire da materiale fertile più fissile di quanto non se ne consumi. Utilizzando un sale fuso simultaneamente come reagente e come refrigerante si prospettano oltretutto notevoli vantaggi in termini di sicurezza intrinseca del reattore, e potenzialmente una produzione minore di scorie. Tuttavia, il pretrattamento del torio per ottenere combustibile utilizzabile è decisamente costoso e richiede abbondanza di terre rare, il che rende questo processo di particolare interesse soprattutto per Cina e India.
Per la realtà italiana, invece, un interessante sviluppo nella fabbricazione dei nuovi impianti nucleari modulari è l’utilizzo di prodotti di “grado commerciale”, ovvero componenti non specificatamente sviluppati per l’impiego in una centrale nucleare ma di maggiore disponibilità industriale, valutati per la loro compatibilità secondo norme tecniche internazionali. Considerando una diffusione di reattori modulari di piccola taglia, per l’Italia, forte nella produzione di componentistica termo-industriale, questo potrebbe essere un ulteriore stimolo alla crescita, in un primo momento per l'esportazione e, in prospettiva, anche per soddisfare la domanda interna.
E la sicurezza?
Lo scenario descritto suggerisce una promettente fattibilità dell’inserimento diffuso di reattori nucleari “a dimensione d’uomo” nel panorama energetico-industriale. Restano tuttavia i nodi cruciali dello smaltimento delle scorie prodotte (in un “deposito nazionale”, da definire in base ad una “Carta Nazionale delle Aree Idonee” che dopo il completamento della procedura di Valutazione Ambientale Strategica dovrebbe portare all’autorizzazione nel 2029 e la messa in esercizio nel 2039) e della moltiplicazione dei potenziali siti di incidenti. È bene considerare, in tal senso, che l’indice di mortalità legata alla produzione storica complessiva di energia dal nucleare è più bassa (0,03 morti per TWh prodotto, incluse Chernobyl e Fukushima) rispetto a tutti gli altri tipi di centrali elettriche (ad esempio 25 morti per TWh prodotto da carbone, 18 dal petrolio, 2 dal gas), eccezion fatta per il solare (0,02). E che la progettazione degli impianti di prossima generazione è tutta improntata ad una sicurezza intrinseca durante l’operazione, che impedisce una fusione del nocciolo in qualsiasi circostanza.
È indiscutibile che il quadro normativo e le procedure autorizzative e di ispezione, in questo senso, debbano essere improntate alla massima affidabilità, un’esaustiva competenza tecnica e la completa trasparenza.
L’elettrificazione, l’intelligenza artificiale e la “decarbonizzazione”: propulsori degli SMR
Oltre alla progressiva elettrificazione dei consumi già in atto da tempo (considerando che attualmente in Italia solo il 20% del fabbisogno energetico è coperto dall’elettricità), un curioso fattore di interesse a un ritorno/aumento del nucleare è costituito dall’affermarsi del calcolo a reti neurali e delle intelligenze artificiali. Si prevede che al 2028 il 19% delle attività di tutti i server sarà dedicato all'intelligenza artificiale, raddoppiando o triplicando nei prossimi 2-3 anni.
Emblematico quindi l’annuncio da parte di Google di voler installare un SMR da 50 MW (Hermes 2) entro il 2030 per alimentare un loro centro di calcolo in Tennessee, USA. Amazon e Microsoft stanno agendo sulla stessa linea, così da prender in mano lo sfruttamento dell’energia nucleare per i propri bisogni (e profitti).
In questo contesto va considerato anche lo sbandieramento “virtuoso” della lotta al climate change. I promotori più vociferi dell’energia nucleare (inclusa Confindustria e le aziende nel settore, s’intende) si aggrappano infatti avidamente alla narrazione dell’emergenza climatica per ripulirsi l’immagine nel palcoscenico mediatico e politico, sottolineando enfaticamente che l’energia nucleare non produce gas serra, come se fosse il principale motivo per cui perseguire lo sviluppo di questa risorsa. Ora, benché il ragionamento impostato sulla “decarbonizzazione” fili perfettamente per il nucleare, è importante sottolineare che anche nel caso in cui il cambiamento climatico non fosse un’emergenza, e che le emissioni di CO2 prodotte dall’Italia risultassero irrisorie rispetto al bilancio mondiale, dotarsi di capacità di autogestione dell’energia nucleare rimane un’alternativa cruciale rispetto alle partite geopolitiche, gli accordi strategici e le rotte internazionali di commercio dei vettori energetici. Senza dover ricorrere a pratiche di greenwashing e annessi buchi nell’acqua regolatori a livello UE.
L’urgenza di disporre di energia abbondante, pulita, economica e stabile, com'è quella nucleare, sta innanzitutto nell'esigenza di stimolare l’attività manufatturiera in Italia, vittima di un vero e proprio crollo negli ultimi anni, e nel bisogno di incanalare investimenti duraturi nel sistema produttivo del nostro Paese. La traiettoria energetica complessivamente stagnante dell’ultimo periodo in Italia riflette una traiettoria economica che è imperativo invertire per tornare a crescere.
L’Italia è gia protagonista nel nucleare
Anche se da oltre trent’anni in Italia non si produce più energia elettrica da fonte nucleare, le attività nel settore non si sono mai realmente fermate. Degli ultimi sei impianti a fissione realizzati nell’UE, quattro sono stati completati da società italiane e gli altri due hanno visto impegnate aziende italiane. Attualmente le nostre imprese attive nella catena di fornitura delle due unità in costruzione ad Hinkley Point (GB) sono più di 130. Le aziende italiane sono anche attive nel segmento dell’assistenza all’esercizio e dell’ammodernamento del parco esistente. Tra gli interventi più recenti e significativi, si possono citare il contributo per la sostituzione di tubazioni in qualità nucleare in alcuni impianti del parco francese e la fornitura di sistemi di sicurezza addizionali per eventi naturali estremi nella centrale slovena di Krsko.
La filiera nazionale è dunque pronta, con Enel, Ansaldo Energia, Ansaldo Nucleare, Leonardo, Edison, Eni, Fincantieri, affiancati dai centri di ricerca Enea, Cnr, Rfx e Cirten. Uno degli 83 SMR in cantiere è il progetto italo-francese LFR-AS-200 della Newcleo, un reattore veloce (quindi con ciclo quasi chiuso del combustibile, che utilizza sia prodotti fissili esterni che generati internamente) raffreddato al piombo fuso con 480 MW di capacità termica e 200 MW elettrica. Sono in corso i dialoghi pre-autorizzativi per una prima installazione in Francia e nel Regno Unito entro il 2030. Ansaldo Nucleare pilota il consorzio FALCON, con partecipazione anche Rumena e Belga, per lo sviluppo di un altro tipo di reattore veloce, sempre al piombo fuso, di 4° generazione. I prototipi dimostrativi sono previsti per il 2040, con installazioni in Belgio e Romania.
Con l’operatività dei primi progetti di SMR in Europa già nel 2030, lo scenario al 2050 è tra i 17 GW e i 53 GW di capacità SMR installata. A fine anno, è invece attesa la strategia europea sugli SMR. Il mercato italiano sta già facendo la sua parte. A gennaio di quest’anno, per esempio, Edf, Edison ed ENEA hanno firmato un memorandum of understanding con l’obiettivo di implementare tecnologie nucleari innovative di piccola taglia, come gli SMR, nelle applicazioni industriali. A questa iniziativa si unisce la joint venture tra Nextchem e Newcleo e la costituzione - da parte di Enel, Ansaldo Energia e Leonardo - di Nuclitalia, società che si occuperà dello studio di tecnologie avanzate e dell'analisi delle opportunità di mercato nel settore del nuovo nucleare con un focus iniziale sugli SMR.
Conclusioni
Non basta quindi una celere approvazione della legge delega e una altrettanto celere definizione del quadro regolatorio necessario ad abilitare il potenziale italiano in fatto di nucleare. Considerando la scarsa incisività del Governo in qualsiasi politica strategica non già spianata da Bruxelles o da Washington, non creare per tempo le condizioni per cogliere i frutti degli sviluppi costanti e in accelerazione della tecnologia nucleare modulare è un rischio assolutamente concreto. Occorre ben altra assertività nella definizione degli obiettivi e nel coinvolgimento delle eccellenze italiane nel campo della ricerca e dell’industria nucleare: se già si fa sulla chimera della fusione nucleare, ben più d’impatto sarebbe far leva sulle tecnologie prossimamente adoperabili e di maggior ricaduta sull’economia italiana complessiva. Ciò significherebbe valorizzare le competenze industriali e scientifiche di cui il Paese è dotato e che potrebbero ridare all’Italia la preminenza nel settore, oltre che dal punto di vista tecnologico, anche in termini produttivi. Cogliere l'opportunità di questo connubio di innovazione e industria strategica non è soltanto fondamentale per ricostruire un sistema energetico robusto, diversificato, efficiente che sia a disposizione del nostro comparto industriale. Significa riconquistare per l'Italia una posizione di avanguardia a livello mondiale.