Curiosità di giornata: la vicenda della Guardia di Finanza che sequestra quasi un miliardino di euri ad Airbnb per il mancato pagamento della cedolare secca sugli affitti brevi verrà probabilmente chiusa con un "settlement", ossia il pagamento di una parte dell'importo dovuto e poi chi si è visto si è visto.
Purtroppo, ahinoi, non si creerà alcun precedente circa l'elusione fiscale da parte delle multinazionali in Unione Europea. La problematica riguarda infatti in ultima istanza i proprietari degli appartamenti (i cosiddetti "host"): dal 2017 al 2021, Airbnb avrebbe dovuto trattenere la cedolare secca sulle locazioni e darla al fisco italiano - cioè agire come sostituto d'imposta - ma la Procura di Milano dice che invece se n'è lavata le mani e ha trattenuto solo la sua provvigione per il costo del servizio. Airbnb potrebbe teoricamente rifarsi sugli host pretendendo la restituzione dei soldi oppure mandare alle fiamme gialle il file Excel "CHIEDETELI_A_LORO.xls" con il report degli incassi per ogni host, tuttavia dubito che voglia far arrabbiare il suo quarto mercato più importante a livello mondiale: lo scenario più probabile è che i dirigenti dell'azienda piagnucoleranno per qualche tempo, dopodiché chiameranno il CEO delle tasse in Italia e gli diranno «Dai, facciamo così: ti diamo noi 400 milioni subito e da domani promettiamo che ci comportiamo bene?». Il CEO delle tasse, ovvero il Ministro dell'Economia, ovvero Giorgetti, farà un rapido calcolo di opportunità - "certezza di avere una frazione dei soldi e di uscire sui giornali come supremo castigatore degli evasori internazionali e salvatore dei conti pubblici" contro "possibilità di avere tutti i soldi dopo un'infinità di battaglie legali che termineranno, forse, nel 2060" - e deciderà di accettare la proposta.
Il fatto che Airbnb abbia sede in Irlanda e in Lussemburgo non sposta però chissà quali equilibri. La tesi del «non era chiara la normativa, non sapevamo che fosse una nostra responsabilità e c'è stata un'incomprensione con gli host» potrebbe essere sostenuta da un qualsiasi operatore rivale di Airbnb, con sede in Italia o su Plutone, ritenuto colpevole di una condotta simile: cambierebbe senza dubbio la difficoltà con cui le autorità potrebbero sequestrare i soldi, ma il buco sarebbe sempre e comunque originato dall'inadempienza fiscale di persone fisiche residenti in Italia - gli host - che, tanto quanto i "guest" (quelli che prendono in affitto le case), risultano semplici clienti della società.
Premesso che empatizzo in maniera assai limitata con gli host che fanno razzia di appartamenti nelle città più importanti per poi specularci con gli affitti brevi, la mia onesta reazione di fronte alla notizia è stata: meh.
Pur andando a risolvere un'evidente e consistente incongruenza sulla cedolare secca degli ultimi anni, tutto l'impianto su cui si regge il buco nero dello "shopping fiscale comunitario" ne uscirebbe in pratica sostanzialmente illeso. Azzardando una possibile cronologia degli eventi futuri, è lecito immaginare che Airbnb si adeguerà alla nuova legge rispolverando Airbnb Italy S.r.l. (società fondata nel 2011 a Milano che, per ridotte dimensioni e fatturato, non si è evidentemente mai occupata delle attività di intermediazione) e che da essa, sostituendo la filiale del Lussemburgo, farà passare i pagamenti in Italia così da tenere correttamente traccia dei tributi da versare al fisco per conto degli host: a quel punto, la stessa variazione potrebbe essere pretesa anche da altri Paesi come Francia (2° mercato mondiale) e Spagna (7°) che, negli ultimi anni, per motivi diversi, non hanno visto di buon occhio l'affermazione della cosiddetta "ospitalità distribuita". Una bella storia a lieto fine? Manco per il piffero. Se da un lato si potrà finalmente accertare il giro di affari effettivo di Airbnb in Italia - e da esso incassare la tanto agognata cedolare secca - dall'altro lato la società americana potrà ancora effettuare tranquillamente tutte le operazioni di "transfer pricing" che vorrà per non pagare le tasse sugli utili.
Transfer che? Pricing dove? Il giochetto funziona così: l'azienda stabilisce la propria sede dove ha la maggior convenienza fiscale (in genere Irlanda, Olanda, Malta, Cipro e Lussemburgo) dopodiché, attraverso strutture piramidali più o meno complesse, apre filiali in giro per l'Europa che risulteranno 100% di proprietà della capogruppo. Queste incassano secondo regole e criteri del Paese in cui operano, ma i margini - che potrebbero diventare utili tassabili - vengono tenuti artificialmente bassi attraverso fatturazioni e movimentazioni tra società dello stesso gruppo in modo tale che, a fine anno, possano magicamente "ricomparire" nel Paese della capogruppo e qui essere tassati a condizioni favorevoli. Faccio un esempio con numeri assolutamente sbagliati e irrealistici: la filiale italiana di Airbnb fattura 10 milioni e, tolti i costi effettivi della sua operatività in Italia (dipendenti, affitti degli uffici, cialde della Nespresso), resta con un utile teorico di 1 milione. A quel punto da Dublino alzano la cornetta e dicono al boss italiano «Fermo lì, mangiaspaghetti! Voi avete usato il nostro brand, i nostri software e i nostri brevetti quindi ci dovete PA-GA-RE! La nostra calcolatrice invisibile ci dice che… mmm… vediamo… ci dovete esattamente 999.999 euri!». La filiale paga la fattura e si ritrova con un sudatissimo euro di utile tassabile in Italia, mentre il grosso del profitto viene impacchettato verso la patria della Guinness dove i fatti recenti ci hanno insegnato che, se sei un gigante del tech, è davvero facile trovare un accordo ad hoc con il fisco locale («Magari quest'anno ci date uno 0.5% simbolico però aprite un nuovo ufficio e assumete un paio di autoctoni, ok?» wink wink).
Vi pare una porcheria? Un'ingiustizia? Forse un crimine? Tenetevi forte, allora: non solo è perfettamente legale all'interno dell'Unione Europea, ma è direttamente incentivato da tutte quelle filastrocche da imbecilli sulla "libera circolazione dei capitali" tanto care agli amici di Bruxelles! La parte da sbellicarsi è però ancora un'altra: ogni sei mesi c'è almeno una proposta per regolamentare tali pratiche - o almeno per mettere delle soglie "ragionevoli" così da non sembrare apertamente dei pagliacci con tanto di naso rosso e parrucca - ma in più di tre decenni di Trattato di Maastricht non si è mai riusciti a trovare una formulazione definitiva e universalmente accettata. Airbnb e le altre centinaia di società che sfruttano questa possibilità (inclusi alcuni "simboli" del Made in Italy, ma non ditelo ad alta voce) hanno quindi libertà pressoché totale nel determinare gli importi delle operazioni: non esistono, e probabilmente di questo passo mai esisteranno, tabelle comparative per andare dalla società XYZ con sede in Lussemburgo e dirle «Gnooo, non puoi chiedere 30 milioni di euro alla filiale che controlli in Spagna per farle utilizzare il tuo marchio! È un valore gonfiato per altre finalità!». Alla peggio ti mandano subito a cagare ma, se hanno tempo da perdere, ti tirano fuori un report complicatissimo - fatto probabilmente da un'altra società di loro proprietà - con cui dimostrano che l'importo è addirittura al ribasso quindi, tanto per cominciare, dovresti essere tu a ringraziarli per non aver voluto esagerare. È un po' come quando Inter e Milan si scambiavano giocatori osceni registrandoli a bilancio con valutazioni stratosferiche: era palese cosa stessero facendo ma, di fatto, nessuno poteva o voleva dimostrarlo.
Tutto questo per quanto riguarda i casi standard di evasione legalizzata che poi, sui giornali, vengono presentati come "comportamenti potenzialmente elusivi" (più esotico e meno esplicito, così magari i protagonisti continuano a pagare per gli spazi pubblicitari): pensate a quanta fatica facevano una volta i nostri (im)prenditori per andare in Svizzera con le mazzette di soldi nascoste negli interni del Mercedes mentre oggi, anno del Signore 2023, basta trovare un notaio in gamba ad Amsterdam! Ci si potrebbe quasi commuovere.
Se invece avete voglia di incazzarvi ulteriormente, fate così: oltre alla questione puramente fiscale, pensate all'impatto sociale della "sharing economy" (a cui appartengono Airbnb, Uber e simili) e della "gig economy" (Glovo e delivery varie). A loro non basta incularci centinaia di milioni di euro che dovrebbero legittimamente restare qui - e invece puff, spariti! - ma pretendono di inculcarci (occhio che qui c'è una "c" in più) nuovi stili di vita in cui la casa e il lavoro diventano elementi negoziabili ad oltranza come nei sogni più bagnati di qualche liberale da strapazzo. Lo so, è un discorso pericolosamente simile a quelli dei boomeroni perbenisti e nostalgici di sé stessi, ma voglio essere equo nel mio giudizio: finché Airbnb ha permesso alla famiglie di avere un'entrata occasionale extra affittando il divano letto in salotto per un paio di notti, oppure di far conoscere a livello turistico luoghi meno famosi dove non c'erano hotel, checché ne dicano i neoluddisti io non ci ho mai trovato nulla di così sconvolgente. Quando però, almeno una volta al mese, leggo che una città come Venezia (e non solo) si accinge ad avere più posti letto per turisti che case per residenti, la prima cosa che faccio è andare su YouTube a cercare "BEST OF POL POT REGIME" fantasticando su scenari simili anche da questa parte del mondo. Esagero? Probabilmente sì, ma è più forte di me.
Insomma, Giancarlo, questi soldi che incasserai da Airbnb per la cedolare secca cerca di spenderli bene. Lo so che tu hai già una mano nei pantaloni pensando a come ti aiuteranno a fare bella figura con i padroni della Commissione Europea con i "conti in ordine" però, suvvia, renditi conto che se continuiamo ancora a lungo con la storia delle trattative tra Stati e singole multinazionali in tema fiscale - perché, alla fine, si tratta di questo - arriverà un giorno, non troppo distante, in cui i conti dell'Italia non esisteranno proprio più perché avremo dovuto svendere tutto a chi considera il nostro Paese come un'enorme Disneyland. E poi tu che fai? Torni a Cazzago Brabbia, magari a fare l'host? Facci sognare, piuttosto: compra un carro armato - questa volta vero - da mettere in Piazza San Marco come nel 1997 e vai a cannoneggiare i "potenziali elusori" fino a quando non accettano di rinunciare alle loro scatole cinesi nei paradisi fiscali. Dopo, se servono ancora soldi - ma non credo - andiamo anche da quei monellacci dei baristi che non fanno gli scontrini dei caffé. Promesso.