Ieri il CIPESS ha dato il via libera alla costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, un'opera strategica che, già in passato, più di un Governo ha tentato di portare a termine con esiti sempre infelici. L'ultima volta a bloccare l’opera fu il Governo di Mario Monti - un nome, una garanzia - che dirottò i fondi già allocati in altre opere pubbliche nel Settentrione.
Nonostante si tratti di un’opera importantissima da un punto di vista strategico e infrastrutturale, ancora oggi la prospettiva del ponte sullo Stretto suscita dissidi e polemiche. Scopo di queste righe è quindi argomentare le ragioni per cui quest’opera risulta fondamentale per la Sicilia e per l’Italia intera e, al contempo, inaugurare un confronto costruttivo con chi sostiene una posizione diversa.
Innanzitutto, per inquadrare la questione, non si può non considerare la geografia: la Sicilia ha la straordinaria fortuna di trovarsi proprio al centro del Mar Mediterraneo. E il Mediterraneo non è un mare qualunque: in quanto cerniera tra tre continenti (Europa, Asia e Africa), questo specchio d'acqua è da sempre un crocevia per le rotte commerciali di mezzo mondo.
Chiarita questa banalità (che tanti, troppi, tendono a dimenticare), occorre tener presente le conseguenze del forte divario infrastrutturale tra Nord e Sud di cui soffre il nostro Paese. L'endemica carenza di infrastrutture (porti, strade, ferrovie, ponti...) nel Meridione non ha soltanto penalizzato lo sviluppo industriale di intere regioni, ma ha imposto a tutta Italia di rinunciare allo sfruttamento dei vantaggi dati dalla propria collocazione geografica. Dal Mediterraneo, infatti, transita il 20% del commercio marittimo mondiale. Eppure, nonostante la posizione privilegiata, di questo strepitoso flusso di merci noi italiani riusciamo a intercettare solo una piccola parte. Il grosso delle delle navi cargo non attracca nei nostri porti ma attraversa Gibilterra e approda nei porti del Nord Europa, ossia direttamente tra le braccia dei nostri concorrenti. Il danno economico, per quanto difficile da stimare, si può quantificare in una perdita di decine miliardi di euro di PIL ogni anno; il danno geopolitico di questa auto-marginalizzazione invece è incalcolabile.
In questo contesto, la realizzazione di una grande opera come il ponte sullo Stretto ha tutte le carte in regola per fare da volano al rilancio infrastrutturale di tutto il Sud. La possibilità di connettere direttamente i porti siciliani alla rete ferroviaria della penisola apre a scenari di sviluppo commerciale e industriale assolutamente inediti, non soltanto per l'isola ma per tutto lo Stivale. "Ma così si rischia di costruire una cattedrale nel deserto! Bisogna prima mettere a posto strade e ferrovie in Calabria e Sicilia" hanno ripetuto per decenni i detrattori del ponte. Un'osservazione apparentemente sensata che, però, nel 2025 mostra un limite evidente: rinunciare al ponte per tutto questo tempo non ha migliorato le reti viarie e ferroviarie calabresi e siciliane. Anzi, è vero il contrario. È ragionevole supporre, infatti, che proprio l'investimento su un'opera di questo calibro possa offrire alla politica nazionale e locale la motivazione per farsi carico delle lacune infrastrutturali di queste due regioni.
C'è poi un argomento cruciale che viene agitato spesso e volentieri da chi avversa il progetto del ponte sullo Stretto: la sua presunta irrealizzabilità. O meglio, cioè peggio, la presunta irrealizzabilità in Italia di un'opera di questa portata. Ora, per ovvie ragioni è impossibile in questa sede rispondere nel merito a questo tipo di osservazione (che, seppur di gusto tecnico, tipicamente viene sollevata da persone che tecnici non sono). Quello che occorre sottolineare è che questo progetto si dovrà sviluppare sotto la supervisione di alcuni tra i migliori ingegneri di tutta Italia. Che, per la cronaca, vuol dire di tutto il mondo.
Quindi, sì, certo che si può fare.
A fronte della nostra storia, pensare che in quanto italiani non possiamo essere pionieri in un campo come questo non è soltanto una prova di ignoranza: è l'ennesima espressione di quell'autorazzismo che dobbiamo sradicare. È questo autorazzismo che ci porta a pensarci incapaci, che ci rende disfattisti, che ci condanna all'immobilismo.
Questo tipo di mentalità è il più grande pericolo per la nostra nazione. E noi di Pro Italia non intendiamo certo finirne schiacciati: siamo nati proprio per combatterla.