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La soluzione al "summer learning loss" è un "summer learning" libero dalla scuola

La soluzione al "summer learning loss" è un "summer learning" libero dalla scuola

Lunedì 7 Luglio 2025

Ogni estate, puntuale torna una polemica ricorrente: le scuole chiudono per tre mesi, i ragazzi disimparano tutto durante l’estate e torneranno sui banchi a settembre con la mente simile a una tabula rasa. È il fenomeno del summer learning loss. La soluzione proposta? Ridurre a due mesi o poco meno la pausa estiva, magari spalmando le vacanze su più periodi durante l’anno.

Ora, ci sono svariate ragioni tecniche e logistiche, già ampiamente discusse nel dibattito pubblico, che sconsigliano una simile decisione (una su tutte: il costo di installazione, funzionamento e manutenzione dei condizionatori nelle aule). Ne vogliamo portare però altre, di natura più sistemica e politica.

Cominciamo con una provocazione: come si fa a perdere ciò che non è mai stato acquisito? Il problema fondamentale della scuola non è il (pur perfettibile) calendario, ma la crisi degli apprendimenti. Voti generosi e altisonanti bilanci delle competenze scritti con la paura dei ricorsi dei genitori e della perdita di iscritti nascondono un vuoto pneumatico di conoscenze e abilità. Non è benaltrismo affermare che prima bisogna intervenire sugli apprendimenti, poi si potrà cercare il modo di ottimizzare il calendario. Se la scuola non funziona la soluzione non può essere “ci vuole più scuola”. Ricorda qualcosa?

Detto in altri termini: se bastano tre mesi per perdere una competenza, forse questa è un’indicazione del fatto che questa competenza non sia mai stata veramente acquisita. La scuola deve formare un cittadino adulto e consapevole capace di muoversi nel mondo senza dover tornare sui banchi ogni tre mesi (non ce ne vogliano i fautori del life-long learning).

Andiamo più in profondità. L’estensione inarrestabile del tempo-scuola, sia essa nel pomeriggio (corsi di recupero, potenziamento, progetti e fanfaronate PNRR, robotica 4.5 e competenze 0.1) o in estate (Piano Estate, modifica del calendario) è un errore antropologico. Rinchiudere a scuola un bambino o un adolescente per la maggior parte delle ore diurne sottrae preziosi spazi ad altre modalità esperienziali altrettanto significative: studio autonomo, prime esperienze lavorative, socialità tra pari, famiglia, sport, oratorio, impegno nelle associazioni e volontariato e, dulcis in fundo, la fondamentale noia, oggi proibita in nome di una mortifera concezione produttivistica del tempo libero. Obiezione: le realtà che abbiamo citato sono tutte in crisi! Certamente, ma non è con la moltiplicazione del tempo-scuola che la crisi si può risolvere. Questo semmai equivale a nascondere la polvere sotto il tappeto.

Sessant’anni fa Don Milani si esprimeva così: “[…] le vacanze estive hanno l’aria di coincidere con precisi interessi. I figlioli dei ricchi vanno all’estero e imparano più che d’inverno. I poveri il primo ottobre hanno dimenticato anche quel poco che sapevano a giugno”.

Oggi, rispetto ad allora, la situazione è più equa: i ricchi si sono quasi tutti rincretiniti e i loro figli passano l’estate davanti allo smartphone proprio come i figli dei poveri. A differenza di quanto pensava il prete di Barbiana, però, non saranno sei ore sui banchi a scuoterli da questo torpore. Serve un forte investimento pubblico, sì, ma incentrato sul supporto alle iniziative ludiche, sportive, culturali e sociali capaci di creare occasioni non formali di apprendimento significativo nei ragazzi. La soluzione al summer learning loss è un summer learning libero dal tritacarne della scuola pubblica.

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