Si susseguono in questi giorni, rimbalzando dalle testate nazionali a quelle locali, articoli e notizie in merito al proliferare dell'impiego di chip sottocutanei come nuova frontiera nell'ineluttabile avanzata dell'essere umano nel fantastico mondo del progresso. Eppure, va detto, fino a qualche anno fa ragionare sulla possibilità di innestare sotto pelle dei piccoli chip in grado di interagire con il mondo circostante veniva trattata dai media al pari di un delirio cospirazionista, di una folle “fake news” partorita dalla mente paranoica di qualche teorico del complotto.
A quanto pare, invece, se oggi tale argomento viene rilanciato con tanta disinvoltura dall'intero apparato mediatico, senza timori da parte di chi ne parla di essere sottoposto a un TSO, significa che il tema è stato ampiamente sdoganato. Insomma, si è già spalancata nella coscienza collettiva un'enorme finestra di Overton.
A testimoniare tale deriva, basta leggere un recente articolo pubblicato da Qdpnews, giornale online del trevigiano, in cui un simpatico signore, opportunamente e non casualmente presentatoci come esperto del settore tecnologico, ci introduce "con grande consapevolezza e modestia" al fantasmagorico mondo dei chip sottocute. Gianni - così si chiama il nostro "sperimentatore digitale" - ci informa di quanto sia comodo e facile utilizzare i quattro chip impiantati nella mano per parcheggiare il monoruota elettrico, per pagare col POS il suo caffè (lasciando persino di stucco i gestori del bar) e, financo, per - udite udite! - "aprire le porte".
Di fatto, si fa leva, more solito, sulla comodità offerta dal dispositivo (poco importa che per pagare o aprire porte la mano funzioni anche se al suo interno non siano presenti chip) e sul fatto che, comunque la si pensi, sia sostanzialmente inutile opporsi o esprimere perplessità, poiché - cito dall'articolo - "il futuro, lo sappiamo, avvicinerà sempre più la nostra identità fisica alla nostra identità digitale".
Sul finire dell'intervista al quotidiano, Gianni ci fa poi sapere, con immancabile tono di saggezza, di come il futuro non sia in realtà rappresentato tanto dai chips ma dal riconoscimento facciale (molto più "smart") e di come vi sia bisogno di "maggior cultura su questo universo in continuo sviluppo".
Ecco, su quest'ultimo punto mi sento di convenire con Gianni. In effetti, c'è bisogno di maggiore cultura e sensibilizzazione per l'opinione pubblica su un tema, quello della "digitalizzazione" dell'essere umano, assai delicato e per nulla scevro da rischi. Di fatto, questa sorta di corsa dissennata ad una vera e propria ibridazione uomo-macchina offre il fianco a protocolli di sorveglianza e controllo sempre più pervasivi e inaggirabili, ad una costante riduzione delle capacità intellettive da parte degli individui, ortopedizzati nelle loro attività anche più banali dalla protesi tecnologica, e a una progressiva e inesorabile perdita della nostra libertà.
La comodità di aprire le porte con la mano (sì, mi rendo conto che faccia ridere) o di non dover estrarre un portafoglio per pagare un servizio, utilizzando un chip con valuta digitale, vale il rischio di vedersi il conto corrente bloccato qualora in futuro non si volesse sottostare a un obbligo di legge? Vale il rischio di vedersi interdetti ed impossibilitati all'ingresso di uffici, locali, negozi, cinema, aeroporti, e persino automobili o abitazioni?
Se vi sembra che quanto qui sopra scritto sia inverosimile, vorrei ricordare quanto accaduto in regime di green pass durante il periodo caldo della pandemia da SARS-CoV-2: proviamo ad immaginare cosa sarebbe potuto accadere se le nostre vite fossero state totalmente vincolate all'apparato tecno-digitale. E ancora: con il nuovo codice della strada varato da Salvini, incombe l’introduzione dell'alcol-lock. Si tratta di uno strumento atto ufficialmente a "portare più educazione sulle strade italiane" che, una volta installato sui veicoli di tutte le persone pizzicate con tasso alcolemico superiore a 0,5 g/L, ne impedirà l'accensione a chiunque, soffiandovi dentro, risulti oltre la soglia di 0 g/L. Andando aldilà del caso specifico, seguendo questo paradigma cosa impedisce che un domani l'accensione dell'auto venga vincolata escluivamente a un chip contenente - tra le altre cose - la "fedina" del conducente?
Di fronte a una deriva come questa, in cui le spire della tecnica si fanno sempre più strette in nome “della comodità” e “dell’efficienza”, sorge spontanea una domanda: qual è il prezzo della nostra libertà? Forse, per rispondere, varrebbe la pena ricordare queste parole di Jünger, un tantino inattuali e, proprio per questo, attualissime: "Ogni comodità ha il suo prezzo. La condizione dell’animale domestico si porta dietro quella della bestia da macello".