I temi del vivere, fino a qualche anno fa, erano prevalentemente analogici e per lo più adeguati a quella che era la formazione personale e scolastica della maggior parte degli italiani. Dunque anche i requisiti minimi per affrontare la vita erano basati su un indice elementare, tutta la struttura della società poggiava su principi di assistenza al cittadino di tipo diretto: quando ad esempio questi si interfacciava con un ufficio della Pubblica Amministrazione, gestiva quanto necessario con il supporto di un esperto. Insomma, la società era basata sui rapporti umani e questo tutelava le scelte di vita, in un certo senso anche filosofiche, di ciascuno di noi.
Il modello di sviluppo della società si è profondamente contorto con l’insinuarsi del concetto di dematerializzazione, un termine prestato dall’informatica oggi in voga nel mondo dell’economia e, più propriamente, nel comparto di quella finanza che tutto ingloba: dalle banche agli uffici postali, passando per ogni altro ente che in qualche modo incide sulla vita delle persone.
Nel macrocosmo della dematerializzazione convivono varie forme di controllo e gestione della quotidianità: dalle ormai onnipresenti app sviluppate per sbrigare qualsiasi procedura ai programmi più complessi che, di fatto, rendono obbligatorie specifiche abilità anche soltanto per prenotare l’accesso a determinati servizi. Ci si è spinti a tal punto che attualmente un cittadino non può non avere un’infarinatura informatica se vuole districarsi nelle pratiche di tutti i giorni, oramai ineluttabilmente incardinate come procedure via web. Piaccia o non piaccia, oggi le parole chiave sono: digitalizzazione del cittadino, dematerializzazione dei servizi, informatizzazione dei processi, società fluida, smart-working, building automation, smart-city.
Si è così accentuato il gap generazionale, affermatosi ulteriormente durante la pandemia, in cui il mondo, il modo di pensare e di agire è stato stravolto da una generale involuzione relazionale in favore di quella digitale. Un cambiamento estremamente rapido, soprattutto in città come Milano, che non ha previsto alcuna transizione ponderata ma un vero e proprio switch-off che ha lasciato disorientati tantissimi cittadini, tra i quali molti anziani, persone con problemi di lingua o affette da disabilità.
Tanto per esser chiari: oggi molte operazioni indispensabili sono sottomesse alle credenziali SPID, dunque al disporre di un computer e di un’ottima connessione alla rete nonché alle capacità d’analisi e alle skill proprie di un certo tipo d’istruzione. Persino la Sanità Pubblica costringe l’individuo ad agire solo tramite percorsi digitalizzati fino a far desistere certuni dal proposito di curarsi correttamente.
È lecito pensare che non sia questa la via giusta per lo sviluppo di una società equa e che il processo di ammodernamento debba tenere conto di tutti cittadini, non il contrario. Si dovrebbe considerare prioritaria la libertà per ogni individuo di scegliere il modo più consono di affrontare la vita in società, in corrispondenza alle proprie inclinazioni e alla propria filosofia. Il cittadino dovrebbe avere la possibilità di esercitare il diritto alla disconnessione o, per meglio dire, di prendere in considerazione una vita lontana dall’uso dei mezzi informatici, dagli smarphone alle carte di credito. Una vita divergente, i cui i valori siano quelli di un modello che oggi ai più potrà anche apparire desueto ma che una comunità e uno Stato che vogliano dirsi tali devono essere in grado di garantire.