Ma non dovevano chiudere Hormuz?

La presunta chiusura dello stretto di Hormuz racconta come funziona l'informazione

La presunta chiusura dello stretto di Hormuz racconta come funziona l'informazione

Venerdì 27 Giugno 2025

La vicenda dell'annunciata e mai concretizzata chiusura dello stretto di Hormuz da parte dell’Iran è l’esempio perfetto di come l’informazione, anche quella “alternativa”, sia tutto meno che informazione. 

Il 22 giugno un parlamentare iraniano, Ismael Kousari, membro della Commissione per la sicurezza nazionale, dichiara: “Il Parlamento è giunto alla conclusione che lo Stretto di Hormuz debba essere chiuso, anche se la decisione finale spetta al Consiglio supremo di sicurezza nazionale”. Immediatamente la notizia viene rilanciata dai media, prima iraniani e poi occidentali, nei termini “L’Iran chiude lo stretto di Hormuz” e da lì esplode il caso mediatico: dirette, approfondimenti e live invadono i social e le televisioni, esperti più o meno improvvisati sono chiamati a spiegarci l’importanza di questo tratto di mare e a renderci edotti sulle conseguenze di questa decisione irrevocabile.

In mezzo a questo ribollire di approfondimenti il prezzo del petrolio non subisce variazioni. Anzi, si riscontra addirittura una lieve tendenza ribassista. Passano i giorni e lo stretto resta navigabile. Ma come? Non era stato deciso di chiuderlo con conseguente esplosione del prezzo di petrolio, derivati e gas naturale? Proviamo a fare chiarezza.

In primo luogo il parlamento iraniano non ha poteri decisionali nell’ambito sicurezza e difesa e, più in generale, occupa un ruolo secondario all’interno dell'assetto istituzionale della Repubblica islamica. È la Guida Suprema, Ali Khamenei, a decidere formalmente su queste materie e a dirlo è la stessa costituzione iraniana (art. 110). Tali decisioni vengono prese in consultazione con il Consiglio supremo di sicurezza nazionale, i principali comandanti dei Guardiani della Rivoluzione e infine il gabinetto presidenziale. 

In secondo luogo il parlamento iraniano non si è mai espresso in merito alla chiusura e infatti, oltre alle dichiarazioni di Kousari, c’è solo un comunicato anonimo giunto da ex-esponenti del governo di Ibrahim Raisi (presidente dal 2021 al 2024) che chiede, tra le varie misure di ritorsione, la chiusura dello stretto di Hormuz. Si sono espressi per la chiusura alcuni esponenti del mondo giornalistico iraniano, come ad esempio il redattore capo del quotidiano ultraconservatore Kayhan, Hossein Shariatmadari. Il tema ricompare in un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa nazionale Mehr News, in cui si invoca il “metodo yemenita” per la gestione della crisi, ma di fatto nessun politico di alto livello iraniano ha preso posizione. Anzi, le dichiarazioni sono state sempre molto caute, come quella del portavoce del Ministero per gli affari esteri, che alla domanda diretta dei giornalisti ha risposto: “La nostra principale preoccupazione è la difesa del territorio” guardandosi bene dal solo citare lo stretto di Hormuz. 

Appurati i fatti, quello che rimane nell’immediato è constatare che nella foga di voler ottenere visibilità, cavalcando il tema del momento, si scambia l’analisi degli scenari con la cronaca e i desiderata con i fatti. Non sorprende che, a fronte di questa iper-stimolazione continua, in cui lanci di agenzia tutti da verificare aprono a dibattiti infuocati finanche sulla fine del mondo, lo spettatore sia ormai mediamente anestetizzato, non responsivo, indifferente.

È paradossale che proprio quelle realtà che denunciano la passività dell’elettorato e mirano (o dovrebbero mirare) a mobilitare i cittadini siano quelle che più si cimentano in questa pratica. Certo il rischio di “bucare la notizia” esiste e le necessità economiche impongono di produrre quotidianamente informazione, ma la deriva assurda è evidente e dovrebbe sollevare diversi dubbi non solo nelle redazioni ma anche nei fruitori dell’informazione. Sia mainstream che alternativa.

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