Se sul gas la possibilità di un accordo che escluda completamente l’approvvigionamento dalla Russia sembra essere lontano, non è così per il petrolio dove l’unica voce che si oppone all'embargo completo è quella del premier magiaro Victor Orban, disposto a non cedere tanto facilmente ai ricatti di Bruxelles, dato che l’Ungheria importa il 65% del suo petrolio dalla Russia.
Se il sempre più probabile stop alle importazioni del petrolio russo non sembra scuotere minimamente il governo italiano, la stessa cosa non si può dire per la Sicilia. Infatti è in provincia di Siracusa che si trova una raffineria di proprietà della russa Lukoil, al cui interno lavorano più di mille persone, insieme ai 2500 lavoratori dell’indotto.
Quella di Priolo è la raffineria italiana più grande in termini di capacità: rappresenta quasi un quarto della capacità di raffinazione complessiva del paese e, allo stato attuale, si lavora solo petrolio della Lukoil (cioè russo) dato che nessuna banca concede più né credito né garanzie per acquistare greggio fuori dalla Russia, ad un prezzo più conveniente tra l’altro. Inoltre lo stabilimento provvede anche al fabbisogno dell’energia elettrica nell'isola per il 20%.
Un embargo del petrolio russo significherebbe non solo un aumento notevole del prezzo dei carburanti ma anche la perdita di migliaia di posti di lavoro in una regione già ultima in tutte le classifiche per tasso di occupazione (secondo le ultime rilevazioni una persona su 5 è disoccupata).
Insomma in questo momento nella Sicilia orientale esiste una bomba sociale da disinnescare al più presto.
Una delle soluzioni proposte sarebbe quella di statalizzare l’impianto, affermazione alquanto singolare, dato che proviene da un governo guidato da Mario Draghi, l’uomo del Britannia che, negli anni novanta, sovrintese alle privatizzazioni delle nostre aziende pubbliche.