Grigliando i dati

Le tesi mainstream sui danni della carne rossa sono tutt'altro che solide

Le tesi mainstream sui danni della carne rossa sono tutt'altro che solide

Martedì 3 Dicembre 2024

“Dobbiamo ridurre il consumo di carne rossa!” 
Questo mantra, se accostato all’immancabile ritornello green “l’allevamento è nocivo per l’ambiente!”, riassume quasi completamente le posizioni dell'informazione mainstream in materia di carne rossa. Il resto sono programmi di cucina. E se per caso, di fronte a questa collocazione draconiana, qualcuno osasse chiedere "perché?" la risposta che riceverebbe immediatamente sarebbe una e una sola: “Perché lo dice la scienza.” E nel dibattito pubblico - ormai dovremmo averlo capito -  tanto basta per chiudere la discussione.

Tuttavia se grattiamo la superficie della questione e proviamo ad andare oltre le riflessioni da talk-show, scopriamo che le cose non sono così semplici. In effetti alla base delle indagini sugli effetti della carne rossa sulla nostra salute vi sono molti problemi che vanno dal rapporto fra evidenza scientifica e azione legislativa (quanto è emerso sulla gestione pandemica è sempre lì a ricordarci l'urgenza di questo tema) ai metodi con cui viene effettivamente costruita l'evidenza scientifica stessa.

In materia di carne rossa, infatti, gli studi realizzati sono tantissimi, ma è opportuno sottolineare che quando si parla di alimentazione si ricorre quasi sempre a studi chiamati osservazionali. Non è possibile (o sensato) obbligare le persone a consumare solo un certo alimento (risulterebbe un tantino problematico controllare delle persone ventiquattr'ore al giorno per verificare che rispettino una certa dieta) e spesso gli effetti che si intende soppesare sono qualcosa di molto distante nel tempo (come ad esempio la mortalità). Di conseguenza si ricorre a questionari e si confrontano i dati sul passato degli individui. Già con questi elementi è facile intuire che è molto difficile riuscire a stabilire solide relazioni di causa-effetto. Emblematico in tal senso è il famoso “paradosso francese”: lo scienziato Serge Renaud, confrontando l’incidenza di patologie coronariche fra la popolazione americana e quella francese, notò che i francesi, pur consumando molti grassi saturi, avevano un'incidenza di coronaropatie estremamente bassa. Come era possibile? La risposta che si dette Renaud fu che in Francia si consuma molto vino, e che quindi il vino dovesse avere un qualche effetto protettivo. L’associazione negativa fra incidenza delle coronaropatie e consumo di vino è messa in luce dallo studio, ma c’è un nesso di causalità? Difficile, molto difficile dirlo.

Andando ancora più a fondo in questa riflessione, scopriamo che non c'è solo una grossa difficoltà nello stabilire nessi di causalità fra i fenomeni osservati, ma addirittura che il metodo con cui si indaga anche la semplice associazione può fare la differenza.
Nel recente studio "Grilling the data: application of specification curve analysis to red meat and all-cause mortality", pubblicato da Wang e Yumin sul Journal of Clinical Epidemiology, gli autori si sono posti il problema di come indagare la relazione fra consumo di carne rossa e la mortalità, giungendo ad una riflessione apparentemente ovvia ma quasi sempre dimenticata: quando si osserva un fenomeno, si usa UN metodo e non IL metodo, perché ce ne possono essere diversi validi. Cosa succede all'analisi se cambiamo il “mix” di metodi utilizzati? Ebbene sì, le conclusioni cambiano. Gli autori hanno quindi cercato di valutare quali sarebbero gli esiti combinando i diversi metodi a disposizione e il risultato è sorprendente: delle 48 combinazioni più significative ben 40 concludono che il consumo di carne rossa riduce la mortalità mentre solo 8 che l’aumenta. Questo significa che, partendo dagli stessi dati, si può giungere a due interpretazioni opposte, semplicemente variando i metodi con cui si lavorano i dati. È per questo che gli autori hanno simpaticamente titolato il loro articolo “Grigliando i dati”.

Quali conclusioni si possono trarre da tutto questo? Esigere che sistemi per la valutazione critica del metodo (nel caso specifico, l’analisi della curva di specificazione) si diffondano sempre di più, in particolare in campi estremamente sensibili al metodo usato, come l’epidemiologia della nutrizione? Si certo, è un giusto auspicio, ma riguarda solo gli specialisti. Andiamo invece su un piano più concreto e quindi politico, senza indugiare oltre sugli effetti che una certa impostazione dogmatica ha sulla ricerca (spoiler: pessimi). È chiaro che studi come questo sono schiaffi in faccia nei confronti dello scientismo imperante in quanto dimostrano che il "come" si ricerca non è mai slegato dal "cosa" si ricerca. E, ancora più importante, dimostrano che quando il solone di turno spaccia come verità incontrovertibili quelle che invece sono interpretazioni discutibili, lo fa con uno scopo ben lontano dal "seguire la scienza" (per quanto possa aver senso quest'espressione).

In definitiva a chi vi rompe le scatole perché, una volta ogni tanto, vi mangiate una bella fiorentina, potete rispondere con questa riflessione sul metodo. Ma difficilmente la capiranno: meglio mandarli a farsi friggere.

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