La sinistra dei maranza

Quello tra immigrati di seconda generazione e sinistra radicale è un sodalizio sbilenco

Quello tra immigrati di seconda generazione e sinistra radicale è un sodalizio sbilenco

Lunedì 13 Ottobre 2025

Houria Bouteldja, pensatrice franco-algerina, poco tempo fa ha dato alle stampe il suo manifesto politico: «Maranza di tutto il mondo, unitevi! - Per un'alleanza dei barbari nelle periferie» Il testo della Bouteldja è divenuto subito best seller e la sinistra italiana ha accolto con giubilo questa nuova e bislacca teoria politica. Il sottoproletariato bianco dovrebbe allearsi, secondo la filosofa ed attivista franco-algerina, con i maranza o "barbari" delle periferie (le seconde o terze generazioni di immigrati) al fine di destabilizzare il sistema degli Stati-nazione europei che, nemmeno a dirlo, sarebbe per sua natura razzista. La lotta di classe, insomma, viene soppiantata: al suo posto la sinistra deve privilegiare la lotta all’identità europea. Il cortocircuito è evidente eppure è questa la strada indicata dalle avanguardie intellettuali dei progressisti.

«Dalle banlieue francesi alle periferie globali, a premessa della ricerca vi è una spaccatura del proletariato delle periferie in due ‘categorie’, entrambe dimenticate dalla politica istituzionale: i cosiddetti beaufs (=bifolchi), il sottoproletariato bianco, e i barbares (=barbari), il proletariato straniero o di ‘seconda generazione’. Un ‘contratto razziale’ su cui costruisce il sistema economico e sociale in Europa, che, non troppo sorprendentemente, ha portato negli ultimi anni il sottoproletariato bianco ad abbracciare i populismi di estrema destra. Per un radicale ripensamento sociale, Bouteldja ipotizza una difficile ma necessaria alleanza dei cosiddetti ‘bifolchi’ del lavoro povero in Europa e le seconde generazioni razzializzate. Il libro è un appello appassionato a una lotta di liberazione dei maranza, categoria che accomuna i giovani delle nuove classi pericolose.»

Il volume qui in Italia è stato presentato, discusso ed è stato oggetto di grandi attenzioni da parte del mondo della cultura de-sinistra. Inoltre, va detto che le frange più radicali della sinistra nostrana avevano già da tempo imboccato il percorso delineato da Bouteldja, molto prima che questo volume fosse dato alle stampe. Già nel 2020 i miltanti di Askatasuna (centro sociale torinese divenuto vera e propria avanguardia nel mondo della sinistra radicale) testavano il terreno, come ben evidenziava in un lungo articolo la giornalista Francesca Totolo:

«Durante le proteste contro il lockdown del 26 ottobre 2020 a Torino, ai manifestanti pacifici si erano uniti diversi antagonisti di Askatasuna e alcune bande di giovani nordafricani che, approfittando del caos, saccheggiarono i negozi del centro. In merito a tale vicenda, in un’intercettazione del 27 ottobre 2020, Umberto Raviola di Askatasuna asseriva all’antagonista vicentino Francesco Pavin: “È stata una bella manifestazione (…) Il grosso l’ha fatta la massa (…) Più i ragazzini anche italiani della periferia (…) Bande di ragazzi, la massa erano bande auto organizzate, amici del parchetto, del bar così che sono arrivati in piazza e si muovevano ognuno a fatti propri, nessuna connotazione politica, nessun tipo di identificazione (…) La massa era proprio spontanea (…) Quello che è successo a Torino, è successo anche a Milano e anche a Napoli (…) Bisogna capire se si possono aprire degli spazi politici per provare a fare un discorso diverso (…) Bisogna capire come si evolve la situazione nei prossimi giorni”. In un’altra intercettazione del 28 giugno 2021, Mattia Marzuoli diceva a Raviola: “Erano 50 a saccheggiare via Roma (a Torino, ndr). Vivono da schifo (…) Si pigliano tutto lo schifo (…) Ne bastano due, tre di loro”. Come evidenzia il Gip, gli antagonisti di Askatasuna cercavano di comprendere come canalizzare e coordinare quella rabbia giovanile a loro vantaggio.»

Da allora sono passati solo pochi anni ma le frange più estreme della sinistra radicale italiana hanno dimostrato di riuscire a mettere in atto questa nuova strategia. Le proteste per la morte di Ramy Elgaml prima e le manifestazioni propal poi hanno sancito ufficialmente la nascita di questo strambo sodalizio tra gli attivisti dei centri sociali e i giovanissimi maranza delle periferie suburbane del nord Italia. Un’alleanza con spiccata propensione alla violenza e non priva di connotazioni criminali.

A questo punto, però, occorre osservare un fatto, in tutta onestà piuttosto evidente agli occhi di qualunque persona normale. Le analisi e, soprattutto, le prescrizioni della Bouteldja e dei suoi seguaci non tengono minimamente conto delle cause sociali e culturali che animano il fenomeno dei maranza rispetto a quelle che animano le proteste delle classi lavoratrici del sottoproletariato europeo. Aspettative e ragioni del disagio che vivono queste categorie sociali non sono analoghe e non possono essere né accostate né sovrapposte.

Se infatti osserviamo le istanze dei lavoratori italiani e le paragoniamo al ribellismo-nichilista contro la nostra società che anima i maranza, notiamo subito enormi incompatibilità. I maranza non chiedono né lavoro né sovranità e, sopratutto, non chiedono «integrazione». La razzializzazione di cui parla la Bouteldja qui in Italia non esiste, è una chimera. Al massimo esiste un fenomeno di segno contrario, che si oppone ad ogni razzializzazione e che si chiama «liquefazione dell’identità». Una deriva che, tanto per esser chiari, è proprio l'orizzonte ideologico per cui i progressisti nostrani, nemici giurati dell’identità italiana, guardano con simpatia ai maranza, come ben dimostrano gli appelli delle varie Boldrini e Salis.

La sinistra italiana ha smesso di occuparsi del lavoro, della sicurezza e sopratutto della dignità del popolo italiano. Ha accantonato queste battaglie preferendo ai diritti sociali quelli civili, preferendo agli italiani gli immigrati. Non è un caso se, ormai da decenni, i ceti medi e bassi non si riconoscono più nelle forze progressiste. Pertanto è chiaro che non vi possa esser alcuna alleanza o convergenza d’interesse tra queste due categorie sociali. Anzi, a dirla tutta, alla luce di quello che accade quotidianamente nelle nostre città, non dovrebbe stupire nessuno il fatto che i maranza tendano a provocare fastidio e repulsione nel lavoratore medio italiano, che si vede sempre più messo da parte in nome dei dritti dei migranti e dei loro figli. Non è un caso se i ceti proletari hanno guardato sempre più spesso a destra nell’ultimo decennio.

Come osserva il sociologo Luca Ricolfi «la prima cosa che colpisce è il disprezzo con cui i dirigenti della sinistra guardano ai ceti deboli e alla gente comune. Ma come è possibile, mi sono sempre chiesto, che proprio i progressisti, che pretendono di battersi per i diritti degli ultimi, abbiano così poca considerazione per l'intelligenza, la sensibilità, il modo di ragionare dei ceti popolari? Da dove viene tanta supponenza? Che cosa li ha convinti che la gente non sia in grado di ragionare con la propria testa? Alle volte mi vien da pensare che, a dispetto di ogni riconversione, revisione, autoriforma e sforzo di modernizzazione, gli eredi del Partito comunista siano rimasti profondamente e irrimediabilmente leninisti nell'anima, prigionieri dell'idea che il popolo non sia in grado di prendere coscienza dei propri interessi da sé, e che per far maturare tale coscienza siano indispensabili le «avanguardie», guide politiche e spirituali delle masse incolte.»

E se osserviamo meglio le odierne avanguardie espresse dalla sinistra radicale, si scivola dalla tragedia alla farsa. A differenza di Lenin e dei bolscevichi, infatti, questi signori non sono assolutamente in grado di fare alcuna rivoluzione. Anzi, sono talmente funzionali al potere che dicono di voler combattere... Che gli unici che danno loro retta vivono in ZTL. 

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