Il proverbio russo “Русские долго запрягают, но быстро едут” si può tradurre “i russi sellano il cavallo lentamente però corrono veloci”.
Putin ha preparato con lentezza esasperante questa accellerazione degli ultimi due giorni. Il presidente russo ha attrezzato lo stato e l’economia russa per affrontare questa partita fin dal golpe subito a Maidan nel 2014, dove la parte della popolazione ucraina più sentitamente russofobica ha rovesciato un governo eletto con libere elezioni (con i voti della parte russofila del paese).
Il Presidente ha reso la nazione leader mondiale nella produzione di cereali, ha rinnovato le forze armate, ha rafforzato la posizione nel settore energetico, niente è stato lasciato al caso.
Ha provato l’apertura diplomatica con gli USA in maniera teatrale ricevendo in cambio malcelata noncuranza alle legittime richieste di sicurezza di Mosca che intravedeva le basi Nato in Ucraina a cinque minuti di volo di missile da Mosca.
Fu l’estremo tentativo di svegliare una Europa soggiogata da un sistema di potere economico-militare di stampo neoliberista che ha nel “deep state" americano il vero cartaio di una partita di poker che i russi non hanno mai accettato. La posta era il legame economico tra Germania e Russia: congelato quello, Putin ha aperto una partita a scacchi in Ucraina.
L’Europa era già persa e l’Ucraina sarà il premio di consolazione spettante alla Russia.
Mentre Biden aveva appena finito di perdere la voce nello scandire le date dell’invasione russa, questa riconosce le repubbliche popolari del Donbass il 21 di febbraio. Non è una data qualunque: sono passati esatti 8 anni da Maidan e dalla proibizione della lingua russa in Ucraina.
Mosca non poteva dimenticare questo affronto alla sua storia e all'interdipendenza tra est Ucraina, detta anche “Malorussia”, Piccola Russia o Nova Russia, e la madrepatria. Basterebbero gli attuali otto milioni di russofoni con passaporto ucraino e gli 800.000 ucraini che hanno il passaporto russo a dare una risposta a questo schiaffo subito.
Avevo previsto nella mia trasmissione del 17 febbraio questi avvenimenti.
Oggi 22 febbraio Putin in conferenza stampa ha elencato in maniera chiara le tre condizioni per ristabilire rapporti di buon vicinato con Kiev:
1) smilitarizzazione, che vuol dire uscita delle truppe occidentali dal paese e smantellamento dell’apparato militare nazionalista e neonazista (Pravj Sektor, Battaglione Azov e via dicendo);
2)nessuna adesione alla Nato e alla UE;
3)riconoscimento della Crimea e delle Repubbliche del Donbass.
Una richiesta di resa incondizionata che suona agli americani come un secondo sferzante tutti a casa stile Afghanistan.
Gli USA manterranno i loro schiavi europei - ma li avevano mai persi? - che continueranno ad inocularsi vaccini di produzione americana e a comprare da oltreoceano gas liquefatto al doppio del prezzo russo, ma pagheranno un prezzo strategico la perdita della presenza a Kiev.
La reazione ucraina comandata o no da Washinton sarà scomposta, sono già 5 giorni che bombardano incessantemente il fronte in Donbass. Niente di nuovo per gli ucraini che lo fanno da otto anni ma adesso, sia di fronte a loro che dietro di loro vi è il meglio dell’esercito russo, addestrato ed armato nei dettagli e soprattutto determinato. Il grido di battaglia sarà “ricordatevi di Odessa”, il pogrom dove il 2 maggio 2014 furono bruciati vivi o bastonati a morte cinquanta filorussi.
Tutto starà nelle mani di Biden: quanto più in fretta si vorrà arroccare nella sua posizione di dominio di noi europei, meno umiliazioni subirà Kiev e lui stesso... Il cavallo russo si sella lento ma dopo corre veloce.