L’enigma della Chiesa per il mondo del dissenso

Un pezzo del solito mondialista che difende Francesco. Oppure no?

Un pezzo del solito mondialista che difende Francesco. Oppure no?

Mercoledì 11 Gennaio 2023

E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa

e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.

—Matteo 16,18


La morte del Papa Emerito Benedetto XVI ha riacceso i riflettori su alcune questioni decisive per il futuro della nostra civiltà, che interrogano in modo particolare i movimenti politici che si pongono l’obiettivo di preservarla e rilanciarla.

Nella cosiddetta “area del dissenso”, l’occasione è stata colta da molti per ribadire la propria distanza ideologica dall’attuale Pontefice. Secondo svariati commentatori d’area, Francesco si contrapporrebbe a Benedetto secondo schemi arcinoti: progressismo vs conservatorismo; mondialismo vs identitarismo europeo-occidentale.

Qualcuno si è spinto fino a rinfocolare vecchie tesi secondo cui Francesco non sarebbe nemmeno il vero Papa, avendo Benedetto rinunciato solamente all’esercizio attivo del papato. [1] Non ci occuperemo qui della questione accontentandoci di una dotta confutazione [2] e, soprattutto, del principio di realtà: da un punto di vista prettamente storico-politico, cioè quello che ci interessa in questa sede, il Papa è evidentemente colui che siede sulla cattedra di Pietro, cioè Francesco.

Le conseguenze da trarre politicamente da un’analisi così impostata sono scontate: Francesco sarebbe un Papa che incarna un modello di Chiesa incompatibile con l’area del dissenso, anzi con la sua stessa funzione storico-sociale!

Alcune domande sorgono allora spontanee: qual è la visione della Chiesa dominante nell’area del dissenso? Come viene vissuto e analizzato il complesso intreccio fra il Politico, il fatto religioso e, più genericamente, la sfera spirituale?

Premessa d’obbligo: la maggior parte dei militanti non è praticante, ma esiste una convinta e qualificata minoranza che vive i sacramenti secondo il Rito Antico in una comunità cattolica tradizionalista della sua città o regione. Un’altra minoranza (più esigua?) pratica, secondo il rito riformato, nella sua parrocchia.

Proviamo dunque ad azzardare un’analisi di quel che pensa il “dissidente medio”, correndo l’ovvio rischio di generalizzare. Egli ha ovviamente coscienza del fatto che la Chiesa sta vivendo, da decenni, una fase di grave crisi. Il fatto centrale di questa situazione è l’incapacità, da parte della Chiesa, di contrapporre al disegno distruttivo postmoderno (che in economia si incarna nel neoliberismo e nella globalizzazione) un sistema di valori e un modello di società diversi, o perlomeno di porre un freno al perverso disegno: è la dottrina del katechon. [3]

In questo contesto, il papato di Benedetto ha rappresentato una boccata di aria fresca, contraddistinto da una difesa intelligente e granitica al tempo stesso del nucleo della fede e del suo valore per la società umana e la civiltà europeo-occidentale in particolare. La festa è finita quando alcune forze oscure hanno costretto o, perlomeno, spinto Benedetto a farsi da parte lasciando campo libero a un progetto di ristrutturazione della Chiesa verso un approccio di generale simpatia verso la postmodernità e i suoi portati (mondialismo, culto dell’ecologia, relativismo etico).

Chi scrive pensa che il ragionamento (necessariamente banalizzato) appena esposto, pur condivisibile in alcuni sviluppi, sia vittima di un profondo malinteso sulla natura e il ruolo della Chiesa. Tale malinteso si dipana in due tempi:
1. si attribuisce alla Chiesa un compito che non è propriamente suo — la lotta politico-ideologica contro il mondialismo;
2. si subisce una frustrazione conseguente alla presa d’atto dell’inazione (vera o apparente) della Chiesa rispetto a quel compito.

Ora, al giorno d’oggi la Chiesa come istituzione non si attribuisce il compito, né il diritto, di intervenire nell’agone politico, se non per ribadire quale sia il perimetro entro cui il potere costituito è legittimo [4]; l’impegno politico diretto è invece compito di tutti cittadini [5] e, fra i cattolici, devono essere i laici a portare avanti le istanze di giustizia e carità [6]. Non spetta al Papa regnante, insomma, tuonare contro questo o quel man-made horror, dalle cavallette a tavola al Fiscal compact. Per dirla in modo più forbito: sono i laici a “partecipare all’ufficio regale di Cristo”: niente Papa-Re.

Del resto, la Chiesa si è (quasi) sempre saputa destreggiare fra le due esigenze, in tensione fra loro, di portare, da una parte, un messaggio evangelico incorrotto (e, in quanto tale, radicale) e di preservare, d’altra parte, l’ordine e la stabilità sociale indispensabili al bene comune. Si pensi all’approccio adottato nei confronti della schiavitù nell’Impero Romano: nessuna condanna netta è mai arrivata dalla Chiesa, che ha invece optato per un progressivo accompagnamento della società verso un modello che della schiavitù non aveva più bisogno.

Alla luce di quanto detto, anche la dialettica progressismo vs conservatorismo, pur esistente in seno all’istituzione-Chiesa, va letta secondo la giusta angolazione. Il tentativo di Benedetto di suonare l’allarme alla civiltà occidentale e ai suoi membri, credenti e non credenti, peraltro con gli strumenti propri della ragione e del buonsenso e mobilitando con nonchalance un patrimonio filosofico non certo da Sant’Uffizio (a meno di non voler convertire anche Nietzsche — e sì che bisogna “sperare per tutti”…), non è ascrivibile alla categoria del “conservatorismo”.

Viceversa, l’approccio di Francesco, basato su un certo avvicinamento ideologico ai temi “mainstream” (ambiente, diritti, etc.) non è tanto una forma di “progressismo” (i più sarebbero stupiti di quanto il Papa attuale sia “conservatore” sui temi che contano) quanto, per l’appunto, un approccio pastorale che mira a illuminare di luce evangelica i temi cari ai più. Si può discutere sui limiti e i fallimenti di entrambi i tentativi, certo, e anche sui limiti umani di ciascuno dei due pontefici, ma non contrapporli in modo così rigido come la dialettica politica vorrebbe.

Su un punto solo, probabilmente, il papato di Francesco ha segnato un brusco cambiamento di paradigma e addirittura una netta contrapposizione con Benedetto: la consapevolezza che l’Europa è sostanzialmente persa, condannata a un lungo inverno spirituale, culturale e demografico, e che la Chiesa deve comunque andare avanti, venendo a patti col destino di ritrovarsi residuale e minoritaria nel Vecchio Continente e trovando altrove il “sale della terra” e la necessaria linfa missionaria [7]. Certe durezze, certe ferite aperte nel cuore di molti nel corso di questo pontificato, forse vanno lette in questa chiave. E da questa lettura, pur se decisamente sconfortante, deve ripartire anche da chi vuole testardamente salvare l’Europa da se stessa e dai mostri prodotti dal suo sonno: Unione Europea in primis.
 

 


[1]  https://www.filosofico.net/diegofusaro/perche-oggi-31-dicembre-2022-e-morto-il-solo-e-unico-papa-benedetto-xvi/

 

[2] https://www.stilumcuriae.com/robert-siscoe-bxvi-rinuncia-breve-confutazione-di-alcune-teorie-insostenibili

 

[3] https://www.laverita.info/chiesa-interroga-biblico-katechon-2659036356.html

 

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1903 — https://www.vatican.va/archive/catechism_it/index_it.htm

 

[5] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1915

 

[6] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 909

 

[7] Matteo Matzuzzi, Atlante Geopolitico del Cattolicesimo (Piemme, 2022) — https://www.ibs.it/atlante-geopolitico-del-cattolicesimo-come-libro-matteo-matzuzzi/e/9788856686241

 

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