Magneti Marelli non è un'azienda qualsiasi: è un vero e proprio fiore all'occhiello dell'industria italiana. Sospensioni, freni, illuminazioni, centraline, sensoristica, elettronica di bordo... Per un secolo buono Magneti Marelli ha fornito componentistica di primissimo livello alla Fiat e a molti altri grandi attori dell'industria automobilistica mondiale. Nel 2019 però il gruppo Fiat (ai tempi già divenuto FCA) decide con la classica lungimiranza di disfarsi dell'azienda per finanziare la transizione all'elettrico e la vende ai concorrenti giapponesi della Calsonic Kansei, società controllata a propria volta dal fondo americano KKR.
Dettaglio fondamentale: l'acquisizione di Magneti Marelli avviene, come tragicamente accade sempre più spesso, tramite LBO (leveraged buyout). Che cosa vuol dire? Molto semplice: gli acquirenti comprano una società indebitandosi e offrono come garanzia agli istituti di credito gli asset della stessa società acquisita. Qual è il risultato finale? Altrettanto semplice: alla fine della fiera i debiti degli acquirenti vengono scaricati sulla società acquisita. E infatti al termine dell'operazione Magneti Marelli si ritrova con 9 miliardi di debiti.
Negli anni successivi, nonostante il blocco dell'attività economica dovuto alle politiche pandemiche, Magneti Marelli si mostra una realtà solida e riesce a dimezzare questo fardello. Negli ultimi tempi, però, la crisi sistemica di tutto l'automotive a livello globale si è dimostrata un ostacolo insormontabile: il piano industriale è andato in fumo e i quattro miliardi di debiti sono diventati insostenibili. Nel 2024 fallisce anche il tentativo del fondo USA di vendere tutto al gruppo indiano Samvardhana Motherson e così si arriva ai giorni nostri, al momento in cui KKR presenta istanza di fallimento per Magneti Marelli al tribunale del Delaware.
Di fronte a tutto questo, uno Stato normale avrebbe una sola opzione davanti: entrare a gamba tesa nella partita, acquisire Magneti Marelli (che ha dimostrato anche nei momenti più bui di essere un'azienda sanissima) e impiegarla per tornare a fare politiche industriali degne di questo nome. In questo modo in un colpo solo si tutelerebbero gli oltre 6000 lavoratori italiani del gruppo e si difenderebbe un patrimonio di saperi e conoscenze tecnologiche che il mondo ci invidia.
Purtroppo, però, non siamo più in una condizione normale. Ci troviamo in una gabbia chiamata Unione europea che, da una parte, impedisce agli Stati di intervenire nell'economia e fare politiche industriali, dall'altra, detta le regole di una demenziale transizione all'elettrico che sta mettendo in ginocchio tutta l'industria automobilistica del continente. E non è tutto: di fronte a questo delirio che lascia di stucco chiunque abbia un minimo di cervello, assistiamo tutti i santi giorni a una gara fra centro-destra e centro-sinistra a chi rivendica più sguaiatamente la propria appartenenza al "sogno", cioè all'incubo, europeo. Già: sono trent'anni che l'Ue fa di tutto per distruggere il nostro tessuto industriale ma il Parlamento è ancora pieno di gente che la invoca.
Nonostante tutti i tentativi di sabotaggio e di auto-sabotaggio, l’Italia ha ancora a disposizione uno straordinario serbatoio di capacità, ingegno e talento. Ritroviamo il coraggio di attingervi, rompiamo le catene di Bruxelles e torniamo a fare quello che abbiamo sempre saputo fare.
MAGNETI MARELLI VA SALVATA.