Oggi, 2 settembre 2023, è il cinquantesimo anniversario della morte di John Ronal Reuel Tolkien, uno degli autori più letti al mondo e pietra miliare della letteratura, non solo fantastica.
Nel corso di questo mezzo secolo, il creatore del Signore degli Anelli è stato oggetto delle più clamorose strumentalizzazioni, specie qui in Italia. È quindi opportuno portare alla luce questi fatti, affermando con forza che il professore merita ben più della sterile polemica che abbiamo visto impazzare negli ultimi giorni. La sua opera trascende i confini di una singola interpretazione e, libera dal pregiudizio, può e deve continuare ad ispirare giovani e meno giovani.
L’ottimo adattamento cinematografico di Peter Jackson del 2001 inizia con la frase “Tutto ebbe inizio con la forgiatura dei grandi anelli”. Ebbene, la strumentalizzazione, tutta italiana, di Tolkien ebbe inizio proprio con la pubblicazione della sua opera da parte della casa editrice Rusconi, negli anni '70, dopo che diversi altri editori la rifiutarono. Da allora è sempre stata guerra: da un lato la destra cercava di appropriarsi completamente dell’autore, forzando l’interpretazione della sua opera ben oltre le dichiarazioni dello stesso Tolkien, dall'altro la sinistra derubricava il testo a mero tentativo letterario di rifuggire la realtà, un puro esercizio di escapismo. Da quel momento in poi leggere e apprezzare pubblicamente Tolkien ha significato fare una scelta di campo: aderire alla destra tradizionalista, sposare una visione aristocratico-decadentista del mondo o magari una lettura evoliana della realtà (come non ricordare “Rivolta contro il mondo moderno” di Julius Evola). Insomma, per dirla con il lessico del Pensiero unico: essere razzisti, misogini e, dulcis in fundo, nostalgici del fascismo.
Se da un lato leggere Tolkien significava essere tutto questo, dall’altro l’autore stesso venne reso organico al dibattito politico e confinato al ruolo di scrittore di parte. L’introduzione al Signore degli Anelli di Elémire Zolla, che ci è stata proposta e riproposta per anni, incarna un'interpretazione in chiave mistico-alchemica di Tolkien che con il passare del tempo è risultata sempre più evidentemente autoreferenziale ma che pure ha rappresentato fino a pochi anni fa lo stato dell’arte dell’inquadramento di Tolkien nel dibattito.
Non molti sanno però che negli USA degli anni '60 l’opera di Tolkien si diffondeva negli ambienti di sinistra e la lettura che quel mondo ne dava era qualcosa di completamente sconosciuto, ancora oggi, in Italia: un Tolkien visto come affine al movimento ecologista, hippie ed in generale del tutto sinergico con la grande contestazione di quel periodo. Com'è stato possibile dunque avere letture così diverse dello stesso autore? La risposta è che l’aver compresso un autore di questa portata nel piccolo recinto dello scontro politico “ci ha resi ciechi”, ciechi al fatto che Tolkien è un autore universale, figlio sì del suo tempo e delle sue esperienze (si pensi al ruolo, fondamentale, della sua partecipazione alla guerra), eppure sfaccettato, tridimensionale e non riassumibile con un’etichetta di destra o di sinistra.
Purtroppo il ricordo dei “Campi Hobbit”, organizzati dal MSI fra il '77 e l’81, ha cristallizzato nella memoria dei più una determinata connotazione politica dell’autore e nulla sarebbe cambiato se nel 2001 non fosse uscito il film “Il Signore degli Anelli, la Compagnia dell’Anello”. Un film eccezionale per il tempo, ineguagliato nel panorama del genere fantasy malgrado i molti tentativi di imitazione, che è riuscito a trasferire ad una generazione quel senso di meraviglia che ha spinto molti, me compreso, ad intraprendere la lettura del libro. L’opera di Tolkien ha potuto vivere una nuova giovinezza grazie all’adattamento cinematografico e, per la gioia di molti, questo ha permesso al genere fantasy, prima considerato poco profittevole cinematograficamente, di decollare, se pur con risultati a volte imbarazzanti.
A distanza di 11 anni, Peter Jackson ha diretto una nuova trilogia di film tratti da “Lo Hobbit” ma non è riuscito a ricreare la magia del primo trittico, risultato di un’alchimia irripetibile fra membri del cast e della produzione (ricordiamo ad esempio che l’interprete di Saruman, Christopher Lee, aveva conosciuto personalmente Tolkien e da lui aveva ricevuto la benedizione per interpretare Gandalf, sebbene alla fine per motivi di opportunità gli si preferì per il ruolo l’ottimo Ian McKellen).
Malgrado grandi studiosi di Tolkien come Tom Shippey (autore di “J.R.R. Tolkien: La via per la terra di mezzo” e “John R.R. Tolkien autore del secolo”) o Verlyn Flieger (“Schegge di luce - Logos e linguaggio nel mondo di Tolkien”) abbiano portato avanti un fiorente dibattito sull’opera del professore di Oxford, in Italia resiste lo stereotipo del “Tolkien scrittore fascista". Una prova ne è il modo in cui è stata salutata la passione di Giorgia Meloni (o anche di Claudio Borghi) per il Signore degli Anelli.
È il momento di andare oltre, di liberarci di questa nuvola opprimente e tornare a guardare le stelle ed il Silmaril che splende in alto nel cielo. Se pur lentamente, si stavano facendo dei passi in avanti in questa direzione, “ma il potere dell’anello non poteva essere sopraffatto” - per dirla con le parole di Galadriel nel prologo del film. E così a riportarci su Arda la corrotta ci ha pensato la serie televisiva targata Amazon “Gli anelli del potere”, uscita nel 2022: una lunga sequenza di pugnalate per gli amanti dell’opera di Tolkien e di pessima sceneggiatura inflitta a tutti coloro che mai prima d’allora si fossero avvicinati al mondo del Signore degli Anelli. Tutto è stato sacrificato sull’altare del "wokism" per realizzare questa serie, nulla si è salvato, dai dettagli più piccoli agli elementi più importanti. Quello che ne resta è un guscio vuoto con appiccicato il brand del Signore degli Anelli per cercare di accaparrarsi il pubblico. Lungi dall’essere un caso isolato, ciò che è stato fatto con questa serie televisiva non è altro che il frutto del modus operandi del dispositivo cinematografico liberal-globalista: prendere qualcosa di vero, di profondo, di conosciuto e stravolgerlo all’insegna dell’inclusività, della “reinterpretazione” e della lotta al patriarcato (sì, anche questo è stato dichiarato in merito all’opera di Tolkien), spolparlo fino a lasciarne solo le ossa e poi proseguire oltre. Tolkien ha scritto che “il male non può creare nulla di nuovo, può solo rovinare o distruggere ciò che le forze del bene hanno creato o inventato”. E direi che non serve aggiungere altro.
In effetti, se c'è un antidoto a tutti questi tentativi di strumentalizzare l’opera di Tolkien, quell'antidoto è proprio la lettura dei suoi stessi testi. Dal più conosciuto Il Signore degli Anelli, passando per Lo Hobbit, fino a tutto il corpo del Leggendarium (di cui abbiamo avuto per anni in italiano solo Il Silmarillion ed i tre libri dei Racconti, ma che adesso si sta ampliando grazie alla sistematica traduzione degli altri testi). E infine i molti, eccellenti, saggi scritti su questo magnifico autore che, con la sua opera, ha raggiunto l'immortalità.
Ironia della sorte: a raggiungere l'immortalità dello spirito è stato in effetti proprio colui che ha gettato luce sulla trappola dell'immortalità del corpo, che non a caso in Tolkien è sempre lusinga del male. Da Sauron che tenta Ar-Pharazon, ormai prossimo alla morte, inducendolo a muovere guerra alle terre immortali, agli anelli che sempre Sauron diede a potenti signori degli uomini, rendendoli suoi schiavi, vivi per sempre ma privati di quello che Tolkien riteneva essere il valore più alto: la libertà di scegliere.
Tolkien infatti tratteggia i "nemici", dai sudroni fino agli esterling, come popoli caduti sotto l’influsso del male, privati della libertà di agire secondo il proprio volere, assoggettati al potere di Sauron che, come una catena rovente, li costringe a perseguire il suo volere, lasciandoli spaesati, come marionette a cui sono stati tagliati i fili, quando infine l’unico anello viene distrutto. Gli orchi stessi, risultato della corruzione degli elfi da parte di Morgoth (il signore di Sauron, sconfitto nella Guerra d’Ira) non solo sono succubi della volontà di Sauron, ma sono addirittura privi di un linguaggio proprio. La loro lingua è il frutto del saccheggio di altre lingue, massima espressione della privazione dell'identità per Tolkien.
Bene, se tutto questo vi sembra straordinariamente attuale è perché lo è. Si tratta di temi eterni, che albergano nel cuore di ognuno di noi. E per i quali, ancora dopo cinquant'anni, non possiamo far altro che rendere grazie a un professore che per tutti noi si è fatto Maestro.