L'irresponsabilità dei "responsabili"

La pretesa di azzerare i rischi della vita è assurda e pericolosa

La pretesa di azzerare i rischi della vita è assurda e pericolosa

Venerdì 3 Gennaio 2025

La recente tragedia dei due alpinisti rimasti vittime di una bufera sul Gran Sasso e l'episodio, avvenuto soltanto pochi giorni prima, della speleologa rimasta bloccata - per la seconda volta - in una grotta della bergamasca, hanno - per l'ennesima volta - acceso il dibattito pubblico in materia di attività ludiche o sportive che comportano dei pericoli.

Non è la prima volta che polemiche simili tengono banco nel nostro Paese. Basti pensare a quando, nel 2011, Marco Simoncelli rimase vittima di un incidente fatale durante una gara di MotoGP: per settimane l'opinione pubblica si interrogò se fosse più o meno sensato permettere ancora lo svolgimento di attività pericolose come le corse motociclistiche. Oppure a quando, nel 2019, l'alpinista Daniele Nardi morì insieme al suo compagno di spedizione durante un tentativo di ascesa del Nanga Parbat (famoso Ottomila della catena Himalayana). L'incipit era sempre il medesimo: "Siamo nel - scegliete voi l'anno -, è mai possibile che si debba ancora incorrere in queste inutili tragedie?! Bisogna essere davvero degli irresponsabili!".

E alla presunta "irresponsabilità" di qualcuno sembra fare riferimento anche il fratello di Luca Perazzini (uno dei due alpinisti morti sul Gran Sasso) quando parla di chi non ha impedito alla coppia di escursionisti di salire sulla montagna. L’uomo infatti ha annunciato un esposto alla procura di Teramo affinché indaghi per capire se si potesse fare o meno qualcosa prima che i due amici alpinisti iniziassero la loro gita. "Avrebbero dovuto impedire l’accesso a tutti gli alpinisti, come avviene in altre località. Luca e Cristian, purtroppo, sono stati colti di sorpresa dalla bufera e non hanno potuto fare nulla per salvarsi. Se avessero vietato a loro e ad altri escursionisti di salire, forse a quest’ora non staremmo qui a piangerli" sono state le sue parole.

Questa reazione, seppur emotivamente comprensibile di fronte al dolore per la perdita di un caro, svela, tuttavia, una concezione quantomeno semplicistica e persino potenzialmente dannosa di che cosa sia la "responsabilità".

La responsabilità, infatti, consiste nella capacità di accettare il peso delle proprie scelte con tutte le loro possibili implicazioni e non ha nulla a che fare con il rigetto assoluto del rischio o del pericolo. Chi si avventura in montagna sa di affrontare pericoli oggettivi; chi esplora le profondità di una grotta, è consapevole dei rischi connessi a quell'attività; chi corre su una moto a oltre 300 km/h è perfettamente conscio di quale sia la posta in gioco. Non si tratta di incoscienza, ma di una valutazione consapevole, un calcolo del rischio accettato liberamente in nome di una passione, di un desiderio di sfida, di una ricerca.

In questo senso, il tentativo di eliminare completamente il rischio dalla vita è un'utopia pericolosa, una visione ingenua che porta a paralizzare l'iniziativa individuale e a limitare letteralmente la libertà di vivere la propria vita a pieno. È una forma di infantilizzazione dell'adulto che pretende di essere protetto da ogni possibile inconveniente, delegando ad altri - allo Stato, alle autorità, agli organizzatori etc. - la gestione dei propri rischi. Ciò che oggi viene proposto sempre più insistentemente nel dibattito è, insomma, di essere responsabili senza esserlo realmente, rifiutando il nucleo stesso del concetto di responsabilità, che non è la semplice assenza di conseguenze negative, ma, appunto, la capacità di assumersi il peso delle proprie scelte, con tutte le conseguenze positive e negative. Siamo di fronte a un'espressione sempre più esplicita della volontà di non confrontarsi con le inevitabili incertezze dell'esistenza.

Fatalmente, però, nessuna attività umana, per quanto regolamentata, può essere completamente priva di pericoli. E oltretutto una sovra-regolamentazione può creare, paradossalmente, un falso senso di sicurezza, riducendo la consapevolezza stessa del pericolo e diminuendo, di conseguenza, le proprie capacità di saperlo eventualmente gestire.

Da questo ragionamento, in fin dei conti piuttosto banale, emerge impietosamente come i veri irresponsabili non siano affatto coloro che scelgono di affrontare dei rischi, bensì coloro che si nascondono dietro una facciata di finta responsabilità e reclamano costantemente protezione e controllo per non dover mai fare i conti con il peso della propria libertà. Sono quelli che, in nome di una sicurezza illusoria, ambiscono a veder vietata o limitata ogni attività che trascenda il perimetro della routine quotidiana, negando agli altri (per negare a se stessi) la possibilità di vivere appieno la propria esistenza.

Anziché pretendere ansiosamente che l'autorità regolamenti ogni spazio delle nostre, abbiamo urgente bisogno di promuovere un'idea completamente diversa di sicurezza. Una sicurezza che non soffochi la libertà individuale, ma la rafforzi proprio investendo l'individuo di quella responsabilità che oggi il potere ambisce a togliergli.

Questo perché la sfida non sta nell'eliminare il rischio, ma nell'imparare a conviverci. Responsabilmente.

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