È passato più di un mese dai giorni di fine agosto durante i quali si è tenuto a Johannesburg, in Sud Africa, il summit dei capi di stato e di governo dei Brics. I tempi sono dunque finalmente maturi per provare a sviluppare un'analisi dell'effettiva portata di questo evento, tenendo conto anche degli sviluppi che si sono delineati nelle ultime settimane.
L'incontro ha visto la partecipazione di un folto gruppo di nazioni del cosiddetto Sud del mondo. In particolare, dei tredici Paesi che si sono ufficialmente candidati a entrare a far parte dell'alleanza, sono ben sei quelli che sono stati ammessi. Così, a partire dal prossimo anno, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica verranno affiancati da Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e, forse, Argentina. Il forse è d'obbligo in virtù dell'incombenza delle prossime elezioni presidenziali: ben due dei candidati favoriti si sono infatti già dichiarati assolutamente ostili all'ingresso del Paese nei Brics e spingono per una collocazione più apertamente filo-americana di Buenos Aires.
Ad ogni buon conto, aldilà delle vicende sudamericane, sono stati molti i commentatori che in questo summit hanno letto una svolta decisiva in favore del processo di multipolarizzazione della politica e dell’economia mondiale. E difatti uno dei punti centrali nel programma dei lavori che ha fatto molto parlare di sé è stata proprio la proposta di creare una nuova moneta allo scopo di favorire commerci e investimenti all’interno del gruppo senza dover ricorrere al dollaro. Quindi senza doversi sottoporre al controllo e all’influenza di una potenza esterna e senza dover pagare alcuna tassa per il “servizio”.
Prima di procedere, una precisazione necessaria: checché ne dica la stragrande maggioranza dei giornalisti, che siano del mainstream o della sedicente contro-informazione, a Johannesburg non si è valutata la possibilità di costituire un’effettiva unione valutaria dotata di una moneta unica vera e propria, com’è ad esempio l’euro (ahinoi). I governi dei Brics sanno bene quali sarebbero le criticità di un tale progetto e, soprattutto, quali sarebbero le conseguenze per i Paesi aderenti dotati delle economie più fragili. Ciò che a Johannesburg si è cominciato a fare è, al contrario, una prudente valutazione dei passi necessari per la creazione di una moneta di conto: qualcosa di simile all’Ecu che fu utilizzato in UE negli anni che hanno preceduto l’Euro ma senza l’imposizione di un regime di cambi fissi. Ovviamente, nei mesi in cui gli esecutivi di alcune delle economie che crescono di più al mondo stanno studiando l’esperienza europea dell’Ecu, Bruxelles si è guardata bene dalla possibilità di approfittarne per stringere rapporti e continua a ignorare completamente questa partita, certificando per l’ennesima volta la propria incapacità di prendere qualsiasi tipo di iniziativa in materia strategica.
Per cogliere la risonanza che il summit di Johannesburg ha riscosso nelle opinioni pubbliche degli Stati partecipanti, e soprattutto in quelle dei Paesi del continente nero, sono decisamente significative le parole del presidente Sudafricano, Cyril Ramaphosa, pronunciate a ridosso del vertice per rispondere alle pressioni esercitate contro l’iniziativa dagli Usa e dalla Gran Bretagna. “Noi vogliamo cogliere l’opportunità di promuovere gli interessi del nostro continente che è stato saccheggiato, devastato e sfruttato da altre nazioni e per questo vogliamo oggi costruire la solidarietà insieme ai Brics.” Un passaggio decisamente significativo, specie se lo si colloca in un momento storico di portata rivoluzionaria per l'Africa centrale e occidentale e se lo si mette in relazione alla costituzione dell’Area di libero scambio del continente africano (Afcfta). Area all’interno della quale, proprio in questi mesi, si sta discutendo a propria volta della possibilità di creare una nuova unità di conto monetaria per favorire i commerci nel continente.
E non è tutto: per superare la sottomissione al dollaro e la dipendenza dalla rete dominante dello Swift, durante il summit i Brics hanno annunciato anche di star lavorando a un proprio sistema globale dei pagamenti. Questa nuova rete non si proporrebbe l’obbiettivo di sostituirsi completamente all’infrastruttura occidentale, bensì di affiancarla. Così da potersi sottrarre, in caso di necessità, ai condizionamenti e agli effetti delle sanzioni.
Ma allora - urge chiederselo - stiamo effettivamente assistendo a un vero cambio di rotta? Il mondo sta davvero andando verso un economia multipolare e non più sotto egemonia del dollaro? Probabilmente sì, ma con molta, molta calma. Se c’è una cosa certa è che questo processo sarà lungo e travagliato.
Per quanto la partita giocata da Brics (vecchi e nuovi) sia molto audace, non bisogna infatti dimenticare che la partita per la primazia sul mondo si gioca non solo sul piano economico ma sopratutto su quello militare. E militarmente parlando è difficile intravedere nei Brics un fronte coeso: basti pensare agli storici attriti fra India e Cina per cogliere la portata dell'errore che fa chi oggi vede in questo gruppo un'alleanza strategica ben definita. Insomma, se la globalizzazione, che poi non è altro che la conseguenza più estrema del controllo dei mari esercitato da parte degli USA, mostra le prime incrinature, alla prova dei fatti la talassocrazia a stelle e strisce, e dunque la capacità yankee di orientare tutti i commerci mondiali, è ancora ben solida. E c'è un'isola di una certa fama a largo delle coste cinesi che sembra star lì a posta per dimostrarlo.
La strada per un mondo autenticamente multipolare è ancora lunga. Ma forse, forse, dopo tante salite, si comincia a intravedere una discesa.