Voi dovete spiegarmi come cazzo fate, ogni volta, a infervorarvi così. Ci sono dei corsi all'università? Si trova qualche tutorial su YouTube? C'è un manuale di riferimento?
Contesto: i giornali hanno "scoperto" la storia di Giuseppina, napoletana di 29 anni che ogni giorno si fa 10 ore di treno per andare a lavorare in una scuola di Milano perché è più conveniente rispetto a prendere una casa in affitto. Gli articoli seguono tutti lo stesso pattern: titoli di merda per attirare click, foto della protagonista in stazione e/o seduta sul treno, breve descrizione della vicenda e, per finire, stucchevole retorica moralizzatrice sui "giovani".
Si aprano le gabbie, che entrino le scimmie urlatrici.
Primo gruppo: gli scettici. «Seeee, vabbè! Io ho guardato sul sito e gli abbonamenti costano più di 1000 euro!», «Perché non cerca una stanza in affitto in provincia?», «Un articolo dice 10 ore di viaggio, un altro 8: non è credibile questa storia», «Certo, magari fa una settimana così poi si mette in malattia per un mese!».
Secondo gruppo: gli ipocriti. «Brava Giuseppina, ci fossero più giovani come te», «Che sia di lezione per i parassiti che prendono il Reddito di Cittadinanza!», «Il lavoro richiede sacrifici», «Anche io facevo così quando ero giovane però nessun giornale mi ha mai intervistato».
Così diversi, così simili. Andranno avanti a battibeccare tra di loro per giorni - almeno tre, prima di spostarsi su qualche altra diatriba irrilevante - per stabilire quale sia la categoria più adatta per definire Giuseppina. Vittima? Mitomane? Eroina? Bugiarda? Complice? Resiliente?
Non sanno nulla di Giuseppina, eppure sembra che sappiano tutto. Anzi, peggio: si sentono in dovere di sapere. Nel frattempo i giornali gongolano e già mi immagino la guerra D’Urso - Giletti per portarla in TV in esclusiva: telefonerà prima un imprenditore della Campania per offrirle un lavoro vicino casa oppure un immobiliarista meneghino per proporle l’affitto di un monolocale a prezzi stracciati?
Giuseppina è la nuova signora non-ce-né-coviddi, è l’anima gemella dell’ex commercialista che si è messo a fare il rider, è il volto del sottoproletariato a cui si chiede di raccontare i propri drammi davanti a tutti affinché nessuno debba sentirsene veramente responsabile: salviamo Giuseppina e salveremo il mondo. Da domani usciranno centinaia di articoli su ulteriori Giuseppini/e - magari anche qualche Ahmed e Ndoumbé per ricordarci che “i migranti fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare” - che finalmente hanno trovato il “coraggio di uscire allo scoperto”. Ok, va bene, salviamo anche loro: poi dopo che si fa?
Forse sarebbe il momento giusto per iniziare a parlare di una società che più promuove le "libertà" e più tollera nuove forme di schiavismo. Oppure, che ne so, del cortocircuito mentale e culturale che spinge le persone ad accettare tutto questo: il precario che si sente in colpa per la sua condizione e dice che «serve più competitività» o che «bisogna adeguarsi al mercato del lavoro» non è un esempio da seguire, bensì una persona estremamente confusa che pensa di intenerire i suoi aguzzini parlando come loro.
"Sacrificio", "riscatto", "meritocrazia" e "ambizione" non sono concetti da demonizzare a prescindere, ma non possono neanche diventare l’escamotage per tenere in ostaggio intere generazioni a cui si chiede di rinunciare al proprio presente in cambio della prospettiva di un futuro migliore che, nei fatti, non arriverà mai. Il mito dell'umile operaio che studia di notte e risparmia per mettersi in proprio con il suo tornio non funziona più da mezzo secolo: non perché manchino la voglia e le capacità, ma perché è dai tempi del sistema feudale che non si vedeva una polarizzazione così netta della ricchezza e, di conseguenza, degli strati sociali. Oggi la classe media - quella che in un Paese moderno dovrebbe essere la classe numericamente più importante - può sperare, al massimo, di conservare la propria condizione: faccia pure tutti i tentativi che vuole per provare ad elevarsi economicamente, ma sia consapevole che molto più probabilmente sprofonderà verso il basso. Sarà un processo lento ma, se non cambiamo rotta, inesorabile.
Avevamo davvero bisogno della "bidella ad alta velocità" (come l'hanno definita alcuni pennivendoli) per renderci conto che il giocattolino della modernità si è inceppato? Evidentemente sì. Per aggiustarlo basterà dimostrare che la sua storia non è stata riportata in maniera corretta dai media? Assolutamente no, a meno di non voler sembrare ancora più ridicoli di chi si è inventato questo scoop.
Poi, chissà, magari tra qualche decennio ripenseremo a questi giorni e diremo: «Però quando c’era Giusy i treni arrivavano in orario».
Io un po’ ci spero.