Tre anni dopo

A tre anni dal lockdown italiano, un'intervista a Sara Gandini, ricercatrice e docente in Epidemiologia e Biostatistica

A tre anni dal lockdown italiano, un'intervista a Sara Gandini, ricercatrice e docente in Epidemiologia e Biostatistica

Venerdì 10 Marzo 2023

Oggi siamo qui, a tre anni dal fatidico marzo 2020, per intervistare la ricercatrice e docente in Epidemiologia e Biostatistica Sara Gandini. 

Alberto: Dottoressa, grazie di esser qui con noi.

Dott.ssa Gandini: Grazie a voi per l’invito.

In questo approfondimento tratteremo alcune tematiche legate al covid, in particolare parleremo di epidemiologia, di cui la dottoressa è esperta. Inizierei chiedendole come si sono comportati i modelli epidemiologici applicati al covid, sono stati capaci di prevedere quello che è poi successo?

Cercherò di darvi una risposta che mostri anche quello che sta dietro questi approcci statistici, senza andare troppo sul tecnico e concentrandomi più sul significato, anche politico in senso lato, che hanno queste metodologie. È chiaro che quando parliamo di epidemiologia ci riferiamo a come leggere quanto accade a una popolazione a livello di salute pubblica. Ci sono due grandi approcci nella lettura di quanto accade: l'approccio descrittivo, che fornisce indicazioni sulla base delle evidenze scientifiche misurate, ad esempio Ioannidis (John P. A. Ioannidis è un medico e epidemiologo greco e statunitense, professore presso la Stanford University, di massimo prestigio internazionale con oltre 400.000 citazioni e un indice H di 224, ndr) in merito all' Infection Fatality Rate (Infection Fatality Rate è la percentuale delle persone contagiate che presumibilmente non sopravviveranno, ndr) ha pubblicato le stime già nei primi mesi del 2020 ed è stato fortemente attaccato, perché ha mostrato che il tasso era molto più basso di quello che veniva detto nel discorso pubblico. Quanto affermato da Ioannidis è basato su uno studio internazionale in cui ai soggetti è stato fatto un esame sierologico, dosando le immunoglobuline, valutando quindi solo il contatto con il virus indipendentemente dall'aver riscontrato la malattia. Da questa analisi sierologica, trasversale a livello di popolazione, si evinceva che il rischio era molto più basso di quanto si sentisse dire. Teniamo presente che, anche da noi, il rischio veniva calcolato sulla base dei tamponi, quindi con una base di persone preselezionate e con la conseguente inaffidabilità del dato finale. Per aver pubblicato questi dati descrittivi Ioannidis è stato fortemente attaccato, gli hanno addirittura dato del corrotto!

Il secondo approccio è quello dell'Imperial College (Imperial College of Science, Technology and Medicine, ndr), che già in passato aveva elaborato modelli predittivi. Questo approccio, proposto anche in Italia, realizza previsioni sulla base di ipotesi che riguardano, ovviamente, il periodo precedente alla pandemia, si guarda al passato per prevedere il futuro, individuando quindi le strategie da adottare. Questo approccio è stato fortemente criticato, ed è interessante come abbiano risposto: hanno affermato che il loro compito era elaborare diversi scenari e poi fornirli al decisore politico, in modo che questi potesse scegliere quale utilizzare. È ovvio che in una situazione del genere i politici tenderanno a scegliere lo scenario peggiore, in quanto è quello che potrebbe consentire loro, in un futuro, di difendere meglio il proprio operato. Noi la chiamiamo epidemiologia difensiva, l'analogo della medicina difensiva per intenderci. Tutto questo, naturalmente, nell'illusione che prendere le misure dettate dallo scenario peggiore non abbia alcun costo.

Quindi il primo approccio è descrittivo, cioè descrive la realtà mentre il secondo fa delle previsioni sulla base di ipotesi.

Focalizzandoci sul lavoro di Ioannidis ho trovato particolarmente interessante questo studio “Forecasting for Covid-19 has failed”, ma anche “Effect estimates of Covid-19 non-pharmaceutical interventions are non-robust and highly model-dependent”. Nel primo studio in particolare vengono elencati un gran numero di fattori di confondimento, o bias, che possono inficiare gli studi e che giustificano il titolo dell'articolo, letteralmente “le predizione sul Covid-19 hanno fallito”.

Il problema dei bias riguarda prevalentemente gli studi osservazionali e meno i modelli predittivi. Per esempio, in merito alle mascherine è uscita una revisione sistematica della Cochrane Library “Physical interventions to interrupt or reduce the spread of respiratory viruses” che ha mostrato come il livello di evidenza scientifica che le mascherine riducano le infezioni è molto scarso. È importante sottolineare che esistono molti livelli di evidenza scientifica, la famosa piramide che ha in alto gli studi clinici randomizzati ed in basso il parere degli esperti. Ebbene, in merito alle mascherine i primi studi erano riferiti ad altri virus, per la SARS-CoV-2 gli studi randomizzati erano due: il primo era uno studio che non evidenziava alcun effetto, il secondo era uno studio cluster randomizzato con tutta una serie di difetti, fra cui un gruppo di controllo non affidabile. Tutti gli altri studi sulle mascherine erano studi osservazionali, quindi con fonti di bias, penso ad esempio all'età, i fattori socioeconomici, il periodo dello studio nell'evolversi della pandemia, tutti elementi che rendono i gruppi non confrontabili e quindi abbassano il livello dell'evidenza raccolta.

In uno studio nelle scuole si evidenziava che l’unica variabile che spiegava le infezioni era l'età e non le mascherine, quindi i ragazzini più grandi che usavano la mascherina si infettavano di più dei ragazzini più giovani che non usavano la mascherina. Solo attraverso confronti più fini riusciamo a trarre delle conclusioni sensate, basarsi solo su studi osservazionali ci può portare a conclusioni errate.

Sono state mosse diverse critiche ai modelli predittivi proposti per il Covid, sia dal punto di vista della trasparenza, ad esempio i modelli non erano disponibili per i ricercatori indipendenti o il loro codice, trattandosi di programmi informatici, non era disponibile, sia dal punto di vista del merito, in quanto gli stessi modelli, in base ai parametri normalmente utilizzati per valutarli, erano in buona parte insufficienti.

Purtroppo questo è un problema generale, non limitato ai modelli predittivi. La riproducibilità dei nostri modelli non è così scontata e molto spesso non vengono resi disponibili i dati crudi, al pari dei programmi. Questo non vale solo per l’Imperial College, infatti alcuni scienziati hanno provato a rielaborare i modelli riscontrando diversi problemi. Noi le chiamiamo “blackbox” (scatole nere, ndr), quando non riusciamo a capire bene i parametri utilizzati. Vi è indubbiamente un problema di trasparenza, che però riguarda un pò tutti gli scienziati che dovrebbero rendere più disponibili i loro dati. Vi è anche un problema di oggettività, in quanto l’interpretazione stessa dei risultati non è così univoca, e non solo nei modelli predittivi e non limitatamente all'Imperial College. Per dirla con un esempio: un fisico e un biologo danno importanza ad aspetti diversi che emergono dagli stessi dati... E il campo di specializzazione è solo uno dei fattori che incide sull'interpretazione, possiamo dire che è la visione del mondo quella che conta. Tornando all'epidemiologia difensiva che, ricordiamolo, porta al decisore politico diversi scenari e fra i quali questi tenderà a scegliere quello che ritiene lo tuteli maggiormente, il caso dell'Imperial College è emblematico: non è solo una questione di dati, ma è una questione di scelte, scelte che potevano essere diverse da quelle fatte.

Leggendo la letteratura scientifica, in particolare le revisioni sistematiche che si sono susseguite nel tempo, si delinea uno scollamento tra come il tema della pandemia veniva trattato in ambito scientifico e come lo stesso veniva comunicato al pubblico dai grandi media. La parola d'ordine nei media sembrava essere “semplificare”. Ebbene, forse, semplificando troppo si è giunti al limite del travisamento dell'evidenza scientifica. Ho inoltre personalmente sentito la mancanza di “corpi intermedi” che potessero fare da ponte fra l'informazione scientifica, cioè la letteratura liberamente consultabile online, e le ricostruzioni giornalistiche “ipersemplificate”.

Il risultato è che, ad oggi, ci sono persone che ripetono convintamente che “la scienza ha detto” quando, andando a verificare, risulta che la scienza non ha mai detto quello che loro intendono. Ebbene queste persone, che hanno formato la loro opinione tramite i media generalisti, sono vittime di un'informazione falsa?

Più che falsa direi parziale, in quanto vero e falso vogliono dire poco in ambito scientifico. Nella divulgazione dei media mainstream le informazioni sono state usate strumentalmente per far passare certi messaggi al posto di altri, ponendo l'accento su certe cose e non su altre. Si tratta di scelte politiche: quali informazioni sottolineare e quali no. In campo scientifico vi era un ampio dibattito sulle strategie da tenere, e non mi riferisco solo alla Great Barrington Declaration, ma anche a Carl Heneghan e Tom Jefferson della Evidence Based Medicine di Oxford e molti altri scienziati, anche in Italia, che avevano avanzato proposte differenti per gestire la pandemia e la verità è che non sono stati ascoltati, anzi sono stati attaccati personalmente, professionalmente, con un livello di aggressività inaudito. Questo ha avuto molti effetti negativi, ad esempio sarebbe stato interessante confrontarsi. Perché non è stato fatto? A partire da livelli molto alti, a partire da Fauci, io non lo so.

Andava fatto l'opposto di semplificare e banalizzare. Io dico sempre che dobbiamo tenere la complessità, parlare della diversità del rischio, che sappiamo essere enormemente diversificato tra persona e persona in base a molti parametri che abbiamo imparato a conoscere. Purtroppo si è deciso di livellare tutto, di usare strategie autoritarie e paternalistiche in modo indifferenziato.

Penso non solo ai danni causati dall'appiattirsi su un'unica strategia, ma ai danni causati dall'imposizione stessa della strategia. Oggi abbiamo i dati sull'aumento del consumo di alcool, di psicofarmaci, l'aumento della depressione e dei disturbi d'ansia, per non parlare degli effetti a livello della popolazione scolastica. Purtroppo la letteratura scientifica è impietosa nel mostrarci i danni che alcuni avevano previsto.

Io spesso cito una lettura importante, cioè l'articolo “Offline: COVID-19 is not a pandemic” scritto da Richard Charles Horton, redattore capo di The Lancet. In questo articolo parla di “Sindemia”. Questo è fondamentale perché non solo la mortalità che abbiamo registrato è dovuta ad altre patologie concomitanti, ma è legata anche a patologie non trasmissibili, a fattori socioeconomici, di conseguenza una soluzione puramente biomedica non porterà ad una riduzione della mortalità per tutte le cause. Puntare solo sui vaccini e sulle chiusure può avere un effetto perverso, aumentando la povertà e quindi aumentando la mortalità. I lockdown, ma più in generale la gestione della pandemia, hanno messo in difficoltà la società e in particolare le classi sociali più fragili, e questo ha come effetto l'aumento di tutta una serie di patologie. Io lavoro in ambito oncologico, se ci dimentichiamo che oltre al sopraggiunto Covid, continuano ad esistere i tumori, le malattie cardiovascolari, il diabete etc gli effetti non tardano a presentarsi. Si è visto da subito un aumento degli infarti, o meglio, delle persone che morivano a casa perché non volevano andare in ospedale, abbiamo visto tutta una serie di aumenti di mortalità nel 2020 a causa di tante altre patologie. Io sono in conflitto con chi dice che i vaccini hanno aumentato la mortalità, perché già lo vedevamo dai dati precedenti ed è l'effetto delle misure prese per contrastare la pandemia.

L'imposizione vaccinale ha avuto molti effetti, tra cui quella che chiamerei “risposta emotiva all'imposizione” che si potrebbe esser tradotta sia nella tendenza ad attribuire al vaccino la causa di ogni problema sopraggiunto dopo la sua assunzione, una sorta di bias di conferma, sia in un maggiore effetto nocebo. Lei che ne pensa?

Sono d'accordo. Io sono sempre stata contro le imposizioni, dalla chiusura delle scuole ai lockdown. Detto questo è vero che noi avevamo dei vaccini poco testati e testati troppo in fretta, imposti in modo irrazionale. In parte si è riconosciuto questo errore, alcuni Paesi hanno chiesto scusa, alcuni hanno riconosciuto lo sbaglio, mi viene in mente la decisione di alcuni stati di sospendere il Moderna ai giovani. Bastava andare verso una medicina personalizzata, una prevenzione personalizzata, che desse più valore al rapporto medico paziente e meno verso uno Stato che impone una stessa strategia per tutti. La gente non è stata ascoltata, le paure delle persone non sono state ascoltate ma alimentate purtroppo.

Recentemente, nel Regno Unito, la UK Health Security Agency, nelle sue raccomandazioni per il 2023, specifica che gli under 50, salvo eccezioni, non dovrebbero sottoporsi al booster (alla data del 7 Marzo 2023 l'età è salita 75, ndr). Questo, al pari di un interessante parametro, l' NNV (Il Number Needed to Vaccinate è un numero che indica quante persone è necessario vaccinare per ottenere un determinato risultato, in questo caso veniva indicato quante persone è necessario vaccinare per ottenere un singola ospedalizzazione in meno, una singola ospedalizzazione con accesso alla terapia intensiva in meno ed, infine, un singolo decesso in meno. Il dato è presentato in tabelle che suddividono la popolazione in fasce di età, e si nota come al ridursi dell'età sia necessario vaccinare numeri sempre maggiori per scongiurare un singolo caso, ndr), stratificato nelle tabelle per fasce di età, ci restituisce numeri imponenti, specie quando andiamo a guardare quanti giovani è necessario vaccinare per impedire una singola ospedalizzazione, per non parlare della terapia intensiva o del decesso. La Gran Bretagna, come altri paesi, stanno rivedendo l'analisi costi-benefici legata all'uso indiscriminato di questi vaccini?

Noi avevamo fatto dei calcoli per l'Italia, con Maurizio Raimisio, statistico, per capire quali erano i costi. Ebbene abbiamo trovato che nei bambini il costo dei vaccini per scongiurare una singola morte, era pari al costo di un intero ospedale. Mi chiedo quanti bambini si potrebbe salvare con un ospedale, ad esempio in Calabria.

In merito all NNV ho già trattato questo argomento in recente convegno a Torino (PoliCovid-22, convegno la cui registrazione integrale è disponibile su YouTube sull'omonimo canale, ndr) e devo dire che, oltre alla suddivisione per classi di età sarebbe opportuno suddividere in base anche alle patologie pregresse ed anche in base al sesso, che è un elemento cruciale in quanto gli uomini hanno un rischio che è il doppio delle donne.

Ho seguito quel convegno e le vorrei chiedere questo, nello studio “Waning mRNA-1273 Vaccine Effectiveness against SARS-CoV-2 Infection in Qatar” viene presentata quella che è stata chiamata “efficacia negativa” della vaccinazione, lei cosa ne pensa?

Dott.ssa Gandini: Ho sostenuto in vari contesti, venendo per questo attaccata, che la spiegazione di quel dato che leggiamo nello studio fatto in Qatar è probabilmente la seguente. Lo studio mette a confronto un gruppo vaccinato con un gruppo non vaccinato, il gruppo di controllo. Ebbene per la durata dello studio si osserva quanti, dei due gruppi, vengono infettati in modo asintomatico, quello che risulta è che, all'inizio i vaccinati si infettano meno dei non vaccinati, a dimostrazione che una qualche efficacia, se pur limitata nel tempo, è presente nel ridurre i contagi, tuttavia dopo pochi mesi questa protezione si riduce fino a scomparire e risulta addirittura negativa a sette mesi. Questo si spiega con il fatto che, con il passare del tempo, il gruppo di controllo veniva in contatto con il virus e questo generava immunità naturale. Al contrario, il gruppo vaccinato, proprio a causa dell'iniziale protezione che però svanisce nel tempo, risulta infine esposto quanto il gruppo non vaccinato, con la differenza che questi ultimi, in parte, sono già venuti a contatto con il virus.

Sono felice di poter dire che è uscita una metanalisi su The Lancet nella quale viene chiarito che la protezione naturale protegge meglio di due dosi, questo è vero in particolare per la versione originale del SARS-CoV-2 e le sue varianti Alfa e Beta, per Omicron meno ma l'immunità naturale si conferma comunque superiore. Vi è poi un altro studio in Qatar in cui è stata fatta una stima di quanti erano venuti in contatto con il virus in forma asintomatica, quindi senza malattia: ebbene, parliamo del 60% della popolazione, quindi un contatto estremamente esteso con il virus e noi sappiamo quanto sia diversificato il rischio legato all'eventuale patologia derivante. Questo virus colpisce gli anziani con molte patologie, dobbiamo ricordarcelo sempre.

Questa sostanziale diversità nel rischio fra le diverse categorie esposte avrebbe dovuto suggerire approcci differenziati. Per il dibattito pubblico è molto importante stabilire quando questa informazione è diventata disponibile ai decisori politici. Si ha la forte sensazione che, nelle fasi iniziali, sono state prese decisioni che poi non si è più stati disponibili a modificare, malgrado l'evidenza. Anzi, sappiamo dai Twitter Files (ed oggi, grazie al The Telegraph ed i Lockdown Files, sappiamo che molte ipotesi che avevamo fatto in merito erano corrette, anzi, veniamo a conoscenza di retroscena ancor più imbarazzanti e gravi sotto molteplici aspetti, ndr) che quando persone, anche competenti come dimostrano casi eccellenti di scienziati giunti all'onore delle cronache, si esprimevano su eventuali approcci alternativi, essi venivano censurati, bannati o screditati mediante l'uso dello stigma di novax, in modo che non potessero più incidere sul discorso pubblico.

È successo anche a me: io mi ero esposta a livello scientifico, ho collaborato con tutti quelli che hanno fatto ricorsi al TAR in varie regioni d'Italia tra cui Lombardia, Emilia Romagna, Campania e Lazio. Anche al Consiglio di Stato mi sono esposta e in tal sede abbiamo vinto perché abbiamo portato evidenze scientifiche che la chiusura delle scuole non portava benefici. Abbiamo pubblicato il tutto su The Lancet Regional Health, dimostrando che chiudere le scuole non era solo inutile, ma era dannoso per i giovani e per la società in generale.

Io sono stata attaccata in modo feroce sui giornali, anche da colleghi scienziati. È stato pesante, non vi era la possibilità di discutere. Poi, per fortuna, al CTS e nel Governo, hanno tenuto conto del nostro lavoro ed hanno riaperto le scuole. Pensiamo al Sud Italia, al ruolo sociale della scuola, al problema della dispersione scolastica: noi abbiamo tenuto le scuole chiuse e tutto il resto della società aperta, come se i giovani non esistessero. Noi eravamo anche in piazza per sostenere la riapertura delle scuole e siamo stati attaccati terribilmente, eppure era un scelta molto ragionevole. E infatti poi, una volta riaperte, non abbiamo nemmeno visto un aumento dei casi...

Lascia perplessi che si guardasse un solo dato e che poi, anche quel singolo dato, andasse in tutt'altra direzione rispetto alle aspettative.

In effetti...

Pro Italia organizzò una diretta dedicata al Covid (“COL SENNNO DI POI – Gli studi a due anni dall'inizio della pandemia, pubblicato sul canale di Pro Italia il 18 Maggio 2022, ndr) , trattammo diversi argomenti ma uno dei più sentiti fu senza dubbio quello degli integratori alimentari, in particolare io trattai del ruolo della vitamina D. Trovai in letteratura che esiste una correlazione tra bassi livelli di vitamina D e una malattia più grave, però non trovai evidenze che la supplementazione di vitamina D avesse effetti sul decorso ospedaliero dei pazienti covid. Riguardando oggi la letteratura scientifica ho trovato queste due nuove metanalisi che sembrerebbero indicare un ruolo della vitamina D anche in tal senso, si tratta degli articoli “Vitamin D and SARS-Cov-2 infection, severity and mortality: A systematic review and meta-analysis” e “Protective Effect of Vitamin D Supplementation on COVID-19-Related Intensive Care Hospitalization and Mortality: Definitive Evidence from Meta-Analysis and Trial Sequential Analysis”. Lei è esperta di questo argomento, cosa ne pensa?

Io studio la vitamina D da tanti anni e la ritengo estremamente interessante. In primo luogo è già in commercio, ed io mi sono sempre indirizzata verso farmaci già disponibili proprio perché vi sono meno interessi economici dietro, meno pressioni legate alla vendita del prodotto stesso, quindi gli studi sono più indipendenti. 

Detto questo si tratta di un ambito estremamente complesso: per riuscire a dimostrare l’efficacia di un farmaco ci vuole un livello di evidenza molto elevato, le stesse metanalisi presentate soffrono di molti limiti, al pari di quella che abbiamo pubblicato noi “Vitamin D and SARS-CoV-2 infection, severity, and mortality: A systematic review and meta-analysis”, tra cui quello di essere metanalisi di studi osservazionali e non di studi randomizzati. Noi abbiamo riscontrato un'efficacia della vitamina D anche per la malattia da covid grave, però essendo studi osservazionali dobbiamo essere cauti. Tuttavia vi era un argomento razionale forte per finanziare uno studio randomizzato e no, non è stato fatto. E non è un caso... Fa rabbia. La nostra metanalisi arriva dopo altre metanalisi: il nostro studio in particolare ci permette di valutare anche la variabilità dei vari studi, cioè vedere come in diverse circostanze la vitamina D abbia effetti diversi. Prendiamo ad esempio la stagionalità: in estate le cose sono diverse rispetto all'inverno, ma la stagionalità non è certo l'unica circostanza che cambia il ruolo della vitamina D, pensiamo alla fragilità dei soggetti. Quando uniamo tutti questi elementi il quadro che otteniamo rende il tutto molto interessante, ma anche molto complicato.

Parlando in generale dei farmaci per il covid ci sono vari aspetti da considerare: sicuramente è stata strumentalizzata la rabbia della gente, perché in realtà non era facile capire fin dall'inizio quali farmaci potevano essere utili. Avremmo dovuto affidarci di più al sapere dei medici evitando di colpevolizzarli ed attaccarli specie quando utilizzavano farmaci come gli antinfiammatori o affini. Insomma, più rapporto medico paziente e meno linee guida imposte dall'alto in modo autoritario. Detto questo, ripeto, non era semplice capire quali trattamenti potevano essere utili, sicuramente ha giocato un ruolo negativo la massiccia campagna mediatica, si è drammatizzato eccessivamente. Ma vorrei soffermarmi di più sul fatto che, con le regole imposte, si è scoraggiata la visita del paziente “in presenza” e questo non è privo di conseguenze. Del resto, come non ricordare il taglio della sanità territoriale: sono trent'anni ormai che questo processo va avanti e, di conseguenza, non avendo a disposizione il personale per seguire le persone in modo decente a casa viene tutto centralizzato negli ospedali, e i risultati si vedono.

 

Le riporto quanto ad oggi è scritto sul sito del Ministero della Salute, nella sezione Fake News, in merito alla vitamina D:

- Falso: La vitamina D protegge dall’infezione da nuovo coronavirus

- Vero: Non ci sono attualmente evidenze scientifiche che la vitamina D giochi un ruolo nella protezione dall’infezione da nuovo coronavirus. La Circolare del 30 novembre 2020 del ministero della Salute “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2” sottolinea che "non esistono, ad oggi, evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato."

Personalmente trovo il messaggio ambiguo, perché è vero che non vi è evidenza certa, a mia conoscenza, che la vitamina D protegga dall'infezione, tuttavia l'infezione non è rilevante quanto l'insorgenza della malattia o il decorso della stessa, quindi malgrado l'informazione sia corretta il messaggio veicolato non lo trovo concorde con la letteratura scientifica ad oggi disponibile. Che dimostra che, con una certa variabilità, la vitamina D ha un effetto sulla malattia e sul decorso ospedaliero dei pazienti covid.

Guardiamo il messaggio all'interno del quadro complessivo: si è obbligato le persone a stare chiuse in casa e sappiamo che, anche limitandoci alla sola vitamina D, questo ne riduce i livelli in quanto si hanno meno opportunità di esporsi alla luce del sole. Ad aggravare la situazione vi è anche la stagionalità: noi sappiamo che i mesi invernali sono legati ad una carenza diffusa di vitamina D nella popolazione. All'interno di questo quadro non trovo un razionale nello scoraggiare l'uso di questa vitamina.

È vero, ma detto questo è importante sottolineare che la vitamina D non guarisce da ogni malattia e diverse categorie hanno bisogni diversi, mi riferisco agli anziani, o alle persone obese: non possiamo dare la vitamina D in modo indifferenziato. Questo in linea con quanto già detto in precedenza, cioè personalizzare il tipo di intervento. Sarebbe stato opportuno fare più ricerca in merito ma si è deciso di investire solo sul vaccino e non in ricerca su farmaci già presenti sul mercato.

In merito ai vaccini citerei il caso di Janine Small, dirigente Pfzier per i mercati emergenti, che al parlamento europeo ha risposto, peccando sicuramente in termini di comunicazione (ha riso), all'eurodeputato Rod Roos, affermando che il vaccino non era stato testato in merito alla sua capacità di interrompere la trasmissione del virus.

Chi ha letto lo studio Pfzier ed i documenti annessi era a conoscenza di questo fatto, ma il vaccino era stato caricato di un valore salvifico tale che si è scatenata una lotta fra chi leggeva questa dichiarazione in modo distorto, come un titolo che lessi tempo fa “Janine Small confessa che i vaccini non sono mai stati testati” e chi, non volendo accettare di aver attribuito a questi farmaci caratteristiche che non hanno, ha tentato di minimizzare quanto accaduto. Resta la realtà dei fatti: è stato istituito il Green Pass sulla base di questa errata convinzione.

In merito alla capacità del vaccino di interrompere la trasmissione era ovvio, non era una novità, bastava guardare l’end point dello studio, che era appunto la malattia sintomatica, nemmeno l’infezione, tanto meno la trasmissibilità del virus. Con il disegno di studio proposto non poteva che essere così.

Purtroppo viene tutto banalizzato con questi schieramenti sciocchi che fanno perdere di credibilità a tutti. Detto questo è vero che, non solo è stata fatta una campagna informativa sbagliata riguardo al green pass, ma non sono stati considerati i danni causati dalla smania di voler vaccinare il più possibile ed il più presto possibile. Nella smania di dimostrare la nostra efficienza abbiamo vaccinato prima persone che non ne avevano bisogno: ricordiamoci che è la malattia l'end point importante. In Norvegia, ad esempio, si sono concentrati sul vaccinare prima gli anziani, mentre da noi abbiamo vaccinato persone a rischio molto basso e questo è stato il primo errore, poi abbiamo imposto la vaccinazione ai ragazzini, perché senza non potevano andare a fare sport, come se non fare sport non avesse effetti negativi sulla loro salute. Questo è veramente inaccettabile.

Ero in piazza a manifestare contro queste azioni, che ritenevo e ritengo inaccettabilmente discriminatorie oltre che antiscientifiche. Sicuramente questo ha segnato la percezione pubblica della scienza in generale e della medicina in particolare. Oggi una parte di popolazione è completamente sfiduciata e questo potrebbe tradursi, tra le tante cose, in una ridotta prevenzione che esigerà il suo prezzo in termini di mortalità. Che si può fare?

Ci sono politici che hanno chiesto scusa, lo ritengo un buon punto di partenza.

Sono recentemente uscite le motivazioni delle sentenze della corte costituzionale riferite agli obblighi vaccinali e non solo, leggendole sono rimasto perplesso. Temi come il bilanciamento fra l'interesse del singolo e quello della collettività, come pure il tema dell'obbligatorietà sono stati affrontati in un modo che ritengo quantomeno discutibile, lei cosa ne pensa?

Noi dobbiamo fare un'analisi costi-benefici estremamente personalizzata: Ci sono molte variabili, che in parte ho già nominato, come età, sesso, patologie pregresse etc che vanno tenute di conto. Una imposizione così trasversale, come è quella che è stata fatta, non aveva senso, ma dico di più: dai dati a nostra disposizione, in Italia, la percentuale di, chiamiamoli con questo termine orribile, novax, è bassissima! Estremamente più bassa di altri Paesi europei, quindi, in un Paese come il nostro, imporre restrizioni e obblighi in modo così feroce ha radicalizzato le posizioni e ha fatto perdere credibilità, quindi è stato completamente controproducente. A livello di personale sanitario la percentuale di vaccinati è stata altissima, quindi non aveva senso un approccio così aggressivo. Vi è un ottimo articolo di Carl Heneghan e Tom Jefferson su questo argomento, che mostra come le misure imposte in Inghilterra hanno portato ad una riduzione del numero di medici. Noi abbiamo bisogno di più medici, non di meno, questo al netto del fatto che è importante tenere conto del perché un medico non si vuole far vaccinare.

Per quanto riguarda le persone che non vogliono essere vaccinate, anche perché hanno avuto effetti collaterali pesanti, è necessario tenerne di conto e individuare strategie per fare in modo, ad esempio, che non siano a contatto stretto con pazienti, se è questo il timore. Resta comunque il fatto che queste imposizioni hanno avuto degli effetti davvero nefasti.

Lei ha subito critiche feroci ed attacchi personali: come vede il prossimo futuro? In particolare, vede un cambiamento nel modo in cui verranno trattati coloro che, al tempo, dicevano quello che adesso si sta rivelando essere corretto?

Secondo me si, anche a livello scientifico. Oggi vi è più consapevolezza anche nella popolazione, a tal proposito ricordo che era uscito un articolo sul Corriere della Sera, un po' di tempo fa, che aveva nel titolo “Munizioni come vaccini” (titolo ripreso anche da un editoriale del Foglio, ndr). Questo suggeriva la volontà di trattare la guerra come è stata trattata la pandemia, cioè con una comunicazione esasperata e con molta propaganda. Per fortuna almeno sulla guerra la gente ha capito che non è questo il modo di risolvere le questioni. Vi è maggiore consapevolezza di come questo passare da un'emergenza ad un'altra stia diventando una strategia di gestione della politica.

Non posso che concordare, pensi che ho sentito definire le persone che si dicono per la pace in Ucraina “potenziali traditori”. Questa radicalizzazione, in cui sicuramente il fenomeno dei social con le relative ecochamber gioca un ruolo, porta a interrompere il dialogo e conduce allo scontro. Mi tornano alla mente i tempi in cui, manifestando in piazza contro la gestione politica della pandemia, venivo sia attaccato dai manifestanti in quanto vaccinato che, fuori dalle piazze, additato come novax. In entrambi i contesti il dialogo era inibito.

Concordo.

Tornando al covid, la letteratura scientifica è facilmente consultabile online e lo sviluppo di programmi di traduzione sempre più accurati la rende disponibile anche a chi non mastica la lingua inglese...

Saper leggere la letteratura scientifica è tutto fuorché semplice, perché si può trovare veramente tutto ed il contrario di tutto, riuscire a capire quali studi sono affidabili non è per nulla semplice. Io ho una vasta esperienza di metanalisi e so bene quale è la variabilità dei risultati che vengono da questi studi: si possono trovare risultati opposti, inoltre se una persona cerca conferma delle proprie opinioni trova qualsiasi cosa, la semplice traduzione non è minimamente sufficiente.

Questo riporta l'attenzione sui corpi intermedi posti tra la letteratura scientifica ed il cittadino, quindi sul ruolo degli esperti.

Non è facile dare una risposta, in quanto il tema degli “esperti” presenta molte insidie: da una parte esperto in se vuol dire ben poco, e lo abbiamo visto come gli esperti sono stati strumentalizzati, presentati come detentori di verità, dei vati che sanno cosa è vero e cosa è falso. Sicuramente è necessario che gli scienziati possano dialogare fra loro il più liberamente possibile, questo perché è dal confronto fra persone che la pensano in modo diverso, in possesso di competenze diverse, che nasce quella variabilità di opinioni, di sguardi e di lettura dei dati scientifici che permette di fare buona ricerca. È naturale che ci siano letture diverse, che si dia maggiore importanza a certi aspetti rispetto piuttosto che ad altri: io ad esempio ho litigato con colleghi, persone oneste che stimo, proprio perché leggiamo le stesse cose con occhi diversi. Io da epidemiologa leggo i risultati diversamente rispetto a chi ha campi di specializzazione diversi. È normale che questo porti a preferire soluzioni politiche diverse.

Grazie per questa bellissima chiacchierata dottoressa, è stato un piacere.

Grazie a voi.

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