Trincea Sanremo: la guerra delle due Rose

Diario dal fronte Sanremo 2023: giorno uno

Diario dal fronte Sanremo 2023: giorno uno

Mercoledì 8 Febbraio 2023

Una premessa prima di iniziare con il diario dal fronte. Sia chiaro che non ritengo di avere competenze artistiche/musicali tali da poter dare un giudizio di valore sulle canzoni in gara. Certamente ho delle preferenze, ma mi limiterò a commentare esclusivamente le parti del festival durante le quali non si è cantato. Non per nulla sono quelle più interessanti.

Mentre finisco di masticare l’ultimo boccone alle ore 20:30, la Rai apre ex abrupto il collegamento in eurovisione: come nella giungla vietnamita, ogni momento è buono per far scattare un agguato. Si parte subito con il minuto di silenzio per il terribile terremoto al confine fra Siria e Turchia. Di tragedia in tragedia, non si può che proseguire con i saluti al Presidente Mattarella e con un applauso che dura svariati minuti mentre il solerte presentatore ci tiene a informarci che è la prima volta che un Presidente della Repubblica è ospite al festival. Non c’è tempo per tirare il fiato dopo la standing ovation ché immediatamente, senza alcuna pietà, viene sguinzagliato sul palco Roberto Benigni. Mi è subito chiaro che sto per assistere un monologo e mi assale un dubbio inquietante: riuscirò a sopravvivere al signore che è stato decorato con il premio Oscar per aver fatto liberare Auschwitz agli americani? Sì, lo so che ha dichiarato che si trattava di “un campo generico e non per forza di uno liberato dai sovietici” però dai, lo sappiamo che quella scelta non era un caso.

Mentre mi chiedo se reciterà la Bibbia, la Divina Commedia o l’indù Baghavad-Gita, il Feroce Toscano si avventa con una battuta sulla costituzionalità dei cinque “mandati” di conduzione concessi al presentatore Amadeus, chiedendo retoricamente il parere di Sergio Mattarella. Ora, non so voi, ma a un anno dalle elezioni quirinalizie più squallide della nostra storia repubblicana, mi è balenata in testa l’impressione di star venendo preso per il culo. Serviranno pochi altri istanti per fugare ogni perplessità e ottenere finalmente la certezza di esser preso per i fondelli.
 

Benigni attacca col suo monologo. Tema: la Costituzione “piubbelladelmondo”. E no, non un articolo a caso, ma proprio il ventunesimo. Quello che al primo comma recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Capito? Il pensiero unico, proprio nel momento culmine della propaganda, si prodiga nell’elogio di uno dei principi che mai come oggi è violentato... Dal pensiero unico. Nella storia della Repubblica mai come oggi è stato possibile finire perseguitati per aver espresso un’opinione: basta uscire (anche di poco) dal seminato per esser attaccati pubblicamente o finire censurati. Giusto per contestualizzare: quanto tempo è passato dagli idranti contro i portuali di Trieste? Certo, oggi non arrivano a prenderti a casa come nel ventennio raccontato da Benigni sul palco. Oggi il controllo della libertà di parola indossa guanti di velluto. È più subdolo, più nascosto, più vigliacco. Non viene ad arrestarti ma punta a rovinarti lentamente la vita. Assume la forma di tante, piccole, minuscole limitazioni contro cui non si può agire perché la più piccola reazione risulta sempre e comunque sproporzionata, quindi può essere redarguita con la massima intransigenza. L’unica dimostrazione di pensiero libero ammessa deve muoversi su binari rigidi, deve scegliere bersagli futili e non trattare nulla in profondità. Insomma, a dirla tutta, non deve esser poi tanto libero questo pensiero. Volete un esempio? Tranquilli, il resto della serata ne fornisce uno.

Assieme al rapace Amadeus e all’eterno Gianni Morandi, il festival schiera ogni giorno una co-conduttrice diversa. La prima serata è toccata a Chiara Ferragni: fashion-blogger, influencer e celebrità social. Oggi è lei a mostrarci per cosa dovremmo arrabbiarci e quale pensiero dobbiamo liberamente manifestare. Il messaggio si palesa fin dalla prima divisa sfoggiata: sullo scialle figura la scritta a caratteri cubitali “PENSATI LIBERA”. Aha. Mo' me lo segno. Magari sulla bolletta della TARI aperta l’altro ieri. È con il cambio abito, però, che arriva l’artiglieria pesante: un vestito molto aderente con impressa una foto del corpo nudo della stessa presentatrice, il tutto volto a creare un effetto di finto déshabillé. Il messaggio da promuovere è, come dicono oltreoceano, la body-positivity, l’accettazione del proprio corpo per dirla in italiano. Non sono convinto di quanto sia efficace promuoverla mostrando quello che, tutto sommato, è un corpo gradevole: alla fine non si tratta di una tanto deprecata oggettificazione del corpo femminile, seppur per una causa? Ai posteri l’ardua sentenza. E il peggio deve ancora venire.

L’influente influencer ha preparato un lungo monologo dove recita (male) una lettera rivolta alla se stessa del passato, a una Chiara Ferragni ancora bambina. Lascio agli insegnanti di italiano delle scuole medie il giudizio sull’imbarazzante “temino” proposto. Vorrei però riflettere su un passaggio che vi cito testualmente: “Ti sentirai quasi sbagliata ad avere altri sogni al di fuori della famiglia. La nostra società ha dei ruoli definiti: sei solo una mamma. Quante volte la società fa sentire in colpa le donne perché vanno al lavoro stando dietro ai figli? Sempre. Quante volte lo stesso trattamento agli uomini? Mai.” Eccola qua, di fronte a noi, l’idea platonica della battaglia woke, l’apoteosi del pensiero unico: una tizia ricca sfondata che, con le lacrime agli occhi, fa la morale alla società sotto scroscianti applausi. Il dramma, signora Ferragni, non è il giudizio che la società affibbia alle madri che lavorano, ma il fatto che parecchie non possano scegliere di fare altrimenti. E non sono nemmeno le più sfortunate. Ormai uno stipendio difficilmente riesce a mantenere una famiglia e quindi diventa sempre più ordinario rimandare (anche per sempre) la maternità.

Purtroppo nella meravigliosa società contemporanea, quella della body-positivity e delle campagne woke sui social, questi ragionamenti non ce li si può permettere. Non bisogna azzardarsi a chiedere cambiamenti strutturali che vadano verso la giustizia sociale, verso una libertà che sia autentica e non preconfezionata. Le battaglie si fanno, sì, ma a patto che siano vuote, innocue, a impatto zero. Insomma, ecologiche.

Penso che ne abbiate abbastanza adesso. Il resto del programma è stato un susseguirsi di brani, nomi sbagliati e finti momenti improvvisati. Dopo cinque ore di diretta non so se essere più sopraffatto dalla stanchezza o dalla rabbia. Per fortuna arriva a destarmi Blanco che, durante il suo brano “L’isola delle rose”, a causa di un problema tecnico al microfono, può solo una cosa: aggredire i fiori sul palco per sfogare la propria frustrazione.

Per cortesia: non facciamo i bacchettoni. Sfasciare tutto sul palco non è certo un inedito in un concerto, persino Sanremo ha i suoi trascorsi in materia. E del resto scommetto che persino fra voi che leggete qualcuno avrà schiaffeggiato almeno una volta in vita sua un televisore che si desintonizza, preso a pugni una tastiera o tirato un calcio allo pneumatico forato della propria auto. È umano: la tecnologia causa una rabbia viscerale. E poi indignarsi per delle rose ormai recise è esagerato quando si ricorda con nostalgia chi ha distrutto gli strumenti. A me rimane solo lo stupore per l’ora tarda che s’è fatta aspettando i risultati: ma se uno avesse da, perdonate la terribile parolaccia, lavorare domattina? Dopotutto anche il PdR dopo un’oretta ha preso e s’è defilato. Beato lui.

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