Finalmente hanno deciso di accontentare chi chiede che non ci sia altro che canzoni al Festival della Canzone Italiana. Aver proposto al televoto tutti i brani in gara (28 per l’esattezza) ha stretto in maniera considerevole i tempi, quindi ridotto al minimo i monologhi. Ovviamente, così facendo, si è finito per sforare ogni orario stabilito e la trasmissione, per permettere a tutti di esibirsi, si è conclusa quasi alle due di notte.
Insomma, nel corso di tutta questa terza serata, aldilà delle ospitate promozionali per questa o quella serie tv e tolte le esibizioni dei musicisti non in gara, l’unica vera alterità rispetto al concorso canoro l’ha offerta il discorso della pallavolista e co-conduttrice del giorno Paola Egonu. Trattandosi di una donna nata a Cittadella da genitori immigrati, l’intervento non poteva non esser dedicato al tema dell’uguaglianza. Inutile dirvi che, nel complesso, è stato un monologo banale e scontato. Per tutto il tempo, si è oscillato fra il vittimismo tipico di chi “non vuole fare la vittima” e il vittimismo del “travisano sempre le mie parole”, con palese riferimento ai vari articoli di giornale che a più riprese negli scorsi mesi hanno descritto la sportiva come una persona ormai insofferente verso un Paese che trova razzista. Il tutto, per di più, letto straordinariamente male dalla stessa presentatrice che, nel corso di tutto il resto della serata e in particolare durante i momenti “fuori copione”, si è rivelata contro ogni aspettativa sorprendentemente spigliata.
Ora, senza neanche stare a puntualizzare che travisare la realtà (ammesso sia stata travisata) è una prerogativa dell’odierno giornalismo e che questo non può non esser chiaro a un personaggio pubblico, bisogna ammettere che è davvero difficile nutrire empatia per qualcuno che si racconta come vittima di un sistema che, nei fatti, gli ha permesso di realizzare traguardi notevolissimi. E che, per giunta, l’ha letteralmente innalzato a portabandiera. Ma tant’è.
Fine, non c’è molto altro da aggiungere. Chi fosse interessato alla musica in gara, può tranquillamente recuperare soltanto questo appuntamento per farsi un quadro completo. Prima di lasciarvi, però, ne approfitto per proporvi un ragionamento.
È evidente che il Festival necessiti di momenti scandalosi e interventi provocatori: senza queste cose non sarebbe dissimile da un programma di rotazione musicale, come quelli che venivano trasmessi un tempo su MTV, con canzoni italiane assortite. Il grande successo popolare di Sanremo, insomma, è dovuto proprio alle controversie che genera. Perché è fattuale che il festival riscuota grande successo, che ci piaccia o meno. Badate bene: stiamo parlando di uno spettacolo che riesce a dare appuntamento a decine di milioni di persone davanti al piccolo schermo nell’era dello streaming on-demand. Per non parlare del fatto che, spesso e volentieri, molti che non lo hanno potuto seguire in diretta lo recuperano con tutti i video e le canzoni in streaming online o se lo fanno raccontare dal collega al lavoro o dal familiare a tavola.
Anche su Sanremo emerge con prepotenza il distacco dalla realtà che affligge l’area del dissenso, sempre incredibilmente con le stesse identiche dinamiche: ci si crede un pezzo maggioritario del Paese quando in realtà si è una sparuta minoranza, si propone di chiudersi nell’astensione (ieri dal voto, oggi dal festival) quando servirebbe aprirsi all’esterno con la partecipazione. Ogni volta che ci asteniamo, rinunciamo alle nostre risicate possibilità di vittoria e abbracciamo la certezza della sconfitta. E state pur certi, come già chiarito nella prefazione a questo diario dal fronte, che non riuscirete mai a saziare l’avanzamento del pensiero unico concedendo terreno: da un mondo senza confini non si può scappare.
Usciamo dal movimentismo da tastiera, fatto da battaglie combattute in ritirata dal divano, per portare un’impronta a livello culturale che trasformi il dissenso in proposta, senza rifugiarci dietro alla scusa che esistono i poteri forti che controllano tutto. È la cultura dominante a dettare i monologhi di Sanremo, esattamente come le partecipazioni ai saloni del libro e a qualsiasi altro evento mondano. È stato fatto un lavoro decennale e adesso, dall’altra parte, stanno raccogliendo i frutti. Propongo di iniziare a seminare.