Ultimi e colpevoli

Una riflessione (e uno sfogo) sulla colpevolizzazione delle vittime e sulla collettivizzazione delle colpe

Una riflessione (e uno sfogo) sulla colpevolizzazione delle vittime e sulla collettivizzazione delle colpe

Giovedì 20 Ottobre 2022

“La responsabilità penale è personale.” Articolo 27 della Costituzione Italiana.
Senza temporeggiare, senza inutili tecnicismi e in maniera lapidaria la nostra Costituzione ci colpisce in pieno con una frase la cui inequivocabilità tradisce dei traumi storici non ancora del tutto cicatrizzati. Dopotutto la seconda guerra mondiale era ancora fresca nella mente sopratutto degli europei che ben ricordavano la sequela sterminata di innocenti vittime di rappresaglie ingiuste. Punire un intero gruppo per i crimini (spesso tali dal punto di vista soggettivo di chi punisce) di un individuo è un comportamento proprio del genere umano che affonda profondamente le sue radici nella storia: succedeva con le dinastie cinesi, nella Grecia classica e persino a Roma, culla del diritto, esisteva l’extrema ratio della decimazione per disciplinare le legioni romane. E succede ancora oggi in Israele, nello Yemen, in Ucraina. Eppure, sebbene terribile e deprecabile, trovare la collettivizzazione della punizione in un contesto bellico non dovrebbe stupirci: in guerra la rappresaglia è una dinamica a cui è pressoché impossibile sottrarsi.

Quello che dovrebbe stupirci - o farci decisamente infuriare, fate voi - è scoprire che ormai la “narrazione dominante” ne abusa continuamente su ogni singolo tema megafonato dai nostri media. Un copia-incolla fastidioso, ripetitivo, illogico. Un sacrificio perpetrato spesso dalle classi dominanti della nostra società, i padroni della narrazione, per nascondere i propri peccati o per nascondersi dalle proprie responsabilità.

Inizierei subito dall’ambientalismo, perché a mio avviso è l’esempio più palese. Estrarre materiali a un prezzo competitivo comporta trovare il paese povero più adeguato e ovviamente infischiarsene dell’impatto ambientale: miniere a cielo aperto, inquinamento dei terreni, avvelenamento delle falde e condizioni disumane per i lavoratori. Ma non basta del litio grezzo per alimentare il nostro ecologissimo monopattino elettrico, bisogna anche lavorarlo e trasformarlo in una batteria in fabbriche dalla parte opposta del mondo, senza alcun criterio sulle emissioni e con uno sfruttamento tale da far sembrare lo schiavismo un’umana alternativa. A questo punto la nostra batteria sta uscendo da un capannone in Cina, e in un qualche modo bisognerà pur realizzare una rete logistica per spostare tutti questi beni, no? Serviranno innanzitutto delle navi container, che da sole rappresentano il 16% dell’emissione mondiale di gas serra. Parliamo delle emissioni causate dalla produzione di cemento? Meglio di no, altrimenti potremmo non avere un tugurio da prendere in affitto a prezzi salatissimi quando “sceglieremo” di diventare forza lavoro a basso costo in un Paese del nord Europa. Ma almeno viaggeremo in monopattino!

Vedete, è evidente come l’ingordigia, per depredare i più, sia la principale fonte del danno ambientale. Quindi chi portiamo a processo? Ma ovviamente ci andiamo noi tutti a processo! Certo, la colpa è nostra. Dopotutto se abbiamo una Panda diesel usata siamo dei mostri, poco importa se una sola nave container inquina come milioni di automobili: compriamoci il monopattino. Colpa nostra che pretendiamo di mangiare la bistecca, magari dell’allevamento nella nostra provincia, quando basterebbe mangiare granaglie di pessima qualità, avocadi o insetti (naturalmente senza pensare al viaggio che fanno per arrivare nel nostro supermercato). Colpa nostra che vogliamo accendere pure il termosifone d’inverno, che vogliamo farci la doccia. Quindi basta lamentarsi della globalizzazione, basta lamentarsi della speculazione edilizia, bisogna assolutamente comprare l’auto elettrica, vestirsi con tre o quattro strati, non lavarsi e mangiare segatura. E saremo comunque colpevoli noi se ci sarà anche solo una spaurita minoranza che non osserva in maniera ortodossa i dettami della transizione green. Come per la pandemia.

La pandemia da Covid19 ce la ricordiamo ancora o abbiamo rimosso tutto? Ricordiamo di come bastava che soltanto un calabrese, nel suo paesino a 0 contagi, si recasse alle poste perché in Brianza finissero immediatamente 10 anziani in terapia intensiva? Di come chi non portava correttamente la mascherina ammazzasse i suoi cari? Di come ci si dovesse vaccinare per non contagiar… Ah no, fermi tutti: a quanto risulta dalle uscite degli ultimi giorni questa cosa non è mai stata detta da nessuno su nessun mezzo d’informazione, ce la siamo immaginata tutti quanti. Insomma la responsabilità di tutta la vicenda pandemica era sempre e comunque delle nostre scelte individuali, scelte che andavano limitate a ogni costo. Alla fine i colpevoli erano sempre e comunque i cittadini, e a far la parte del capro espiatorio c’era quella sparuta minoranza che rifiutava di sottostare ai ricatti e alle imposizioni più assurde. Impossibile ascrivere la cause della debacle pandemica ai micidiali tagli alla sanità pubblica o all’assoluta incapacità dimostrata dalla nostra classe dirigente.

E come non fare anche solo un accenno alla tanto decanta “meritocrazia” a questo punto? Premesso che servirebbe un libro per affrontare tutta la questione (e, per inciso, uno ne esiste già: “La tirannia del Merito” di Michael Sandel), si sta facendo passare la subdola idea che se la qualità dell’istruzione degli studenti italiani sta calando a picco la colpa non sia altro che loro e loro soltanto. Vieni bollato come analfabeta se accenni a classi pollaio, mancanza di personale docente, università trasformate in diplomifici: se lo studente fosse stato meritevole allora avrebbe vinto la borsa di studio alla Bocconi per poi spiegarvi come mai voialtri, sporchi plebei, vi meritiate invece la miseria. Non è colpa delle multinazionali se il negozio sotto casa chiude o se la fabbrica delocalizza e l’operaio perde il lavoro: è colpa dei disoccupati che avrebbero dovuto imparare a programmare, fare i designer o aver preso 5 o 6 lauree. Un pensiero calvinista portato all’ennesima potenza che porta a difendere l’indifendibile: è colpa della vittima, carnefice di sé stesso.

È amaro constatare che non ci troviamo soltanto davanti a un modus operandi semplice, ma pure ripetuto fino alla nausea per sostenere di volta in volta la narrazione dominante. Ancora più amaro è realizzare che funziona, che c’è gente che si stende in mezzo alla strada per bloccare le auto, che sono abbondate le delazioni contro gli eretici della religione pandemica, che di fronte alla povertà non si prova più alcuna empatia. Ancora una volta la lotta di classe è stata vinta dai privilegiati, il sistema stesso ha fornito le battaglie anticonformiste da combattere e ci ha fatto credere che il nemico-colpevole sia il nostro vicino. Bisognerebbe prendere coscienza e iniziare a inquadrare il vero responsabile, spesso basta semplicemente seguire gli interessi. Uscire dalla narrazione è il nostro obiettivo, rimanerci sarà, quella sì, la nostra vera colpa.

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