Atto dovuto? DOVUTO UN CAZZO!

Gli agenti coinvolti nel conflitto a fuoco in cui è morto Legrottaglie sono stati indagati

Gli agenti coinvolti nel conflitto a fuoco in cui è morto Legrottaglie sono stati indagati

Domenica 15 Giugno 2025

È notizia di sabato 14 giugno 2025: i due agenti di polizia coinvolti nello scontro a fuoco che ha portato alla morte del brigadiere Carlo Legrottaglie risultano indagati per omicidio colposo. 

Prima di lasciarsi andare alle esternazioni istintive che notizie come questa possono provocare, val la pena andare a prendersi con calma una paio di riferimenti normativi: l'art. 335 del codice di procedura penale e l'articolo 53 del codice penale. Partiamo dal primo, in particolare andiamo a leggere il comma 1-bis:

"Il pubblico ministero provvede all'iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito non appena risultino, contestualmente all'iscrizione della notizia di reato o successivamente, indizi a suo carico."

Dunque, se tanto ci dà tanto, per iscrivere qualcuno al registro degli indagati occorre che sia una notizia di reato e che risultino degli indizi a suo carico. Bene. Andiamo adesso a leggerci l'art. 53 del codice penale che norma l'uso legittimo delle armi e che segue l'art.52 dedicato alla legittima difesa:

Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'Autorità [...]

Tutto chiaro? Ok, allora torniamo alla vicenda.

Questi due agenti di polizia hanno aperto il fuoco su dei criminali che stavano sparando contro di loro e avevano già ucciso il brigadier Legrottaglie. Nel corso dello scontro a fuoco, fatalmente, è morto il delinquente che aveva appena tolto la vita al carabiniere. Alla luce di questi fatti, chiunque sia dotato di un minimo d'intelletto capisce che ci troviamo di fronte a un caso da manuale di uso legittimo delle armi.

Bene. Allora, a questo punto, sorge spontanea una domanda: quali sarebbero gli indizi che suggeriscono che la condotta degli agenti sia stata criminosa? Forse il fatto che hanno aperto il fuoco contro chi sparava contro di loro e aveva già ucciso un uomo in divisa? Detta in altri termini: PER QUALE CAZZO DI MOTIVO QUESTI DUE AGENTI DI POLIZIA STANNO VENENDO INDAGATI PER OMICIDIO COLPOSO?

È sufficiente leggere i due articoli di legge riportati sopra per capire che la retorica dell'atto dovuto non sta neanche lontanamente in piedi. Indagare qualcuno non è mai un atto dovuto se non c'è alcun elemento che indichi un reato a suo carico. Al contrario, si tratta di un sopruso bello e buono.

Badate bene: questa vicenda non è semplicemente l'ultima di una lunga serie di performance allucinanti della nostra magistratura. È qualcosa di ancora più grave. La dinamica ricorrente del fantomatico "atto dovuto" contro gli agenti delle forze dell'ordine che fanno bene il proprio mestiere, infatti, impatta immediatamente su tutta la società. E il motivo è molto semplice: in un contesto in cui un carabiniere o un poliziotto rischia un processo ogni volta che interviene per sedare una rissa o per inseguire un malvivente, il numero degli agenti che preferiscono volgere lo sguardo da un'altra parte è destinato ad aumentare giorno dopo giorno. D'altronde, multare un povero cristo che ha superato di 10 km/h i limiti di velocità non implica alcun rischio, fermare la banda di nigeriani che spaccia regolarmente dietro alla stazione invece sì. Quindi perché prendersi la pena di combattere il crimine quando si può passare il tempo a staccare multe?

In un regime in cui i criminali godono della presunzione di innocenza mentre le forze dell'ordine sono sempre considerate colpevoli fino a prova contraria, i primi a farne le spese sono le persone perbene. A trarne i maggiori vantaggi, naturalmente, sono i delinquenti. Insomma, è la ricetta perfetta per l'anarcotirannia.

Va detto chiaramente: in Italia il principale nemico della giustizia è nella magistratura.

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