A oggi, 17 dicembre 2022, il nostro Paese ospita in totale 140 installazioni americane, di cui 120 ufficiali e una ventina segrete. Tra quelle ufficiali, sette sono quelle principali: le basi di Aviano (Fruli Venezia Giulia), Ghedi (Lombardia), ospitanti anche bombe nucleari , Camp Ederle (Veneto), Camp Darby (Toscana), Gaeta (Lazio), Napoli (Campania) e infine la base di Sigonella (Sicilia). Non dobbiamo poi dimenticare che nel mar Mediterraneo è operativa anche la VI flotta della marina americana, la cui base è situata in Campania vicino all'Aeroporto di Napoli-Capodichino.
L'istituzione di queste basi in Italia affonda le sue radici nella seconda metà del ‘900. La presenza impostasi con la seconda guerra mondiale diventò permanente dopo la sottoscrizione del trattato istitutivo della NATO, firmato nel 1949. È opinione diffusa è che le basi americani in Italia sussistano in funzione di una bilateralizzazione degli impegni contratti con il patto atlantico, volti a sviluppare, per l’appunto bilateralmente, le rispettive capacità difensive. L’evidenza dei fatti però ci racconta tutt'altro.
Ora, che il nostro paese sia una colonia a tutti gli effetti non è una novità. Quello che dovremmo davvero chiederci è dunque: perchè la nostra penisola è cosi strategicamente importante per l'impero a stelle e strisce?
Rispondere a questa domanda non è particolarmente difficile: la nostra penisola costituisce una portaerei naturale in mezzo al Mar Mediterraneo. Un mare che, sebbene negli ultimi anni non sia stato al centro dell’attenzione americana, è destinato a tornare cruciale nei prossimi decenni: il conflitto sempre più serrato con la Russia e, soprattutto, con la Cina mostrerà nuovamente quanto sia imprescindibile controllare lo specchio d’acqua che collega l’Atlantico e l’Indo-Pacifico.
Inoltre, a detta di qualche generale americano, l'Italia è un Paese che offre molta flessibilità operativa, con poche restrizioni o, per dirla con un noto politico statunitense, si tratta di una “democrazia dal guinzaglio molto corto”. Basta ascoltare le dichiarazioni Melvin Sembler: a detta sua, il nostro Paese dà al Pentagono tutto ciò che vuole.
Per cogliere i motivi, anche formali, per cui gli USA ritengono di aver mano libera nel nostro Paese è sufficiente osservare le procedure che il Governo italiano adotta per approvare gli accordi internazionali. Sulla carta si può distinguere tra procedure “solenni”, in cui il Parlamento esamina il progetto d'accordo e valuta se sottoporlo al presidente della Repubblica, e procedure “rettificate”, ovvero quelle che richiedono semplicemente la firma dei plenipotenziari per porre in essere i relativi accordi. Manco a dirlo: per l’installazione di nuove basi in mano straniera sul nostro territorio, è sufficiente la seconda tipologia di procedura. Tanto per esser pratici, ecco due esempi di ciò di cui stiamo parlando: il “Bilateral Infrastructure Agreement”, datato 1954 e tuttora top secret, un accordo che stabilisce il tetto massimo delle forze americane sul suolo Italiano, e il memorandum d’intesa tra i governi di Roma e Washington, lo “Shell Agreement” del 1995, ovvero un documento relativo alle infrastrutture e le installazioni di basi americane che è stato reso pubblico dal governo D'Alema. Si tratta di accordi raggiunti tramite procedure semplificate che hanno di fatto scavalcato il controllo parlamentare garantendo all’esercito americano l’agibilità necessaria per le operazioni in Nord Africa e Medio Oriente.
Del resto, come chiarito da WikiLeaks, fu anche grazie a questo modus operandi che l'Italia ha avuto un ruolo di primaria importanza durante la seconda invasione dell'Iraq. Il Pentagono sfruttò basi militari e aeroporti civili in Italia per trasportare i propri soldati nelle operazioni di guerra, senza che il Parlamento ne fosse minimamente informato, avvalendosi del solo consenso dell’allora Presidente del Consiglio.
A tal proposito, fu proprio in quelle circostanze che gli USA definirono il Governo Berlusconi “un’opportunità unica per concludere gli accordi relativi alle installazioni di nuove basi”. Difatti non dobbiamo scordare che, nonostante la fine della guerra fredda, l’erario americano riversa su quest'ultime una spesa complessiva di circa un miliardo di dollari l’anno. E Berlusconi non fu certo l'unico nel terzo millennio a dare carta bianca all’aquila americana: a distanza di pochi anni, è stato Prodi a firmare l'accordo tecnico per la base di Sigonella. Accordo che prevede, sebbene la base sia formalmente sotto controllo italiano, che gli Usa abbiano comunque il "pieno comando sul personale americano e sulle operazioni".
Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes, ha recentemente proposto in un editoriale un paragone ardito ma efficace fra Mar Mediterraneo e Indo-Pacifico. "L'Italia – scrive Caracciolo – con la sua posizione strategica, è diventata un boccone grosso, gustoso, disponibile per le superpotenze, Russia e Stati Uniti. Siamo la Taiwan del Mediterraneo." E aggiunge: "Rispettate le proporzioni, la sfida scalena fra Stati Uniti, Cina e Russia si deciderà sul controllo dello Stretto di Taiwan e di quello di Sicilia. Perni delle rotte oceaniche che legano Cina e America via Eurafrica". E del resto, visto che la partita per il dominio sul mondo passa innanzitutto dal dominio dei mari, occorre chiedersi dove mai dovrebbe trovarsi sulla mappa dell’Euromediterraneo una potenza marittima che volesse dominarlo? E la risposta è scontata: in Italia, diamine!
Comprendere a fondo la portata di questa risposta, è il primo passo che dobbiamo fare per smettere di esser spettatori della nostra stessa Storia. E tornare finalmente padroni del nostro destino.