Hangzhou è una romantica cittadina cinese, la capitale della provincia dello Zhejiang attraversata dal fiume Qiantang, che conserva ancora intatto il suo antico splendore. Ove una volta la nobiltà cittadina sfoggiava i suoi abiti in seta, adesso i nuovi ricchi sfrecciano sulle loro auto sportive europee.
Hangzhou però ha qualcosa di particolare: è tempestata di telecamere. La fitta rete di sensori serve sia a migliorare la vita dei cittadini che a controllarla sistematicamente.
Hangzhou è a tutti gli effetti la Silicon Valley cinese. La sua principale peculiarità è proprio la strettissima collaborazione del suo governo con le imprese tecnologiche: il cuore dell’economia cittadina è rappresentato infatti da una miriade di aziende all'avanguardia nel settore. Pensate che dal 2016 Alibaba tramite il progetto City Brain partecipa attivamente all'amministrazione della città, per la gioia del partenariato pubblico-privato sul modello statunitense. Alla faccia del comunismo.
Ma cos'è City Brain? A grandi linee, è una piattaforma guidata dall’intelligenza artificiale che ottimizza qualsiasi aspetto della governance della città: dal traffico alla gestione dell’acqua. Alibaba, oltre ad aver fornito un sistema che elabora i dati delle telecamere in tempo reale ottenendo una gestione millimetrica del traffico ed ingegnerizzandolo in maniera da snellire il tram tram metropolitano, aiuta i cittadini in molti aspetti delle loro vite. Non si limita a guidarli nello spostarsi comodamente in città, anche con autobus e treni, ma, attraverso varie piattaforme, si occupa addirittura di aiutare i cittadini a ottenere prestiti o a citare le aziende locali davanti a tribunali on line.
L’alleanza tra big tech e governo ha reso Hangzhou il fiore all’occhiello delle smart city cinesi, un modello che stanno seguendo altre trecento città le cui amministrazioni stanno tempestando di sistemi di sorveglianza le proprie strade. Una di queste è Shangai, un’altra la capitale Pechino. La corsa all’implementazione dello stato di sorveglianza procede a passo svelto e per i giornalisti Josh Chin e Liza Zin, autori dell’inchiesta Stato di Sorveglianza, “Hangzhou è diventata il biglietto da visita del Partito per la sua visione di un nuovo autoritarismo digitale.“
Il fiore all’occhiello della sorveglianza tecnologica e di gestione della città tramite l’intelligenza artificiale è il già citato progetto City Brain. Nato nel 2009 da un'idea della IBM subito sposata e sostenuta dal governo di Pechino, è stato perfezionato e reso avanguardistico da Jack Ma e la sua Alibaba. Per Wang Jian, direttore del Technology Steering Committee di Alibiba, “i sistemi cloud di Alibaba sono in grado di condurre una complessiva analisi in tempo reale della città, dispiegare automaticamente risorse pubbliche e correggere i difetti nelle operazioni umane.”
L’azienda si augura che con l’implementazione ed il perfezionamento del sistema City Brain, presto la piattaforma sarà in grado di gestire la pianificazione urbana e la distribuzione dell’energia elettrica arrivando a gestire la città in tutti i suoi aspetti. Dai droni, ai tostapane smart, dalle telecamere agli smartphone, dai lettori dei codici QR ai dispositivi installati nei negozi, fino ai chip di identificazione a radio frequenza incorporati nelle carte d’identità per memorizzare i dati biometrici. Una marea di dati raccolti dalle big tech e a disposizione del governo.
La vita dei cittadini di Hangzhou è sicuramente migliorata sotto certi aspetti. Le ambulanze arrivano in fretta a prelevare i pazienti e, tramite il controllo ingegnerizzato dei semafori, in un lampo tornano in ospedale, il parcheggio si trova senza problemi, i bambini smarriti vengono ritrovati in un battibaleno. L’ambizione delle città cinesi infatti è quella di semplificare la vita dei propri cittadini, ma... A che prezzo? Quanti di noi sarebbero disposti a vivere in un mondo del genere, tracciati e monitorati dai governi in ogni aspetto della propria vita? Quali e quanti sono i rischi che chi amministra tutta questa conoscenza, questo sapere, questo potere ne abusi?
Se infatti ad Hangzhou le tecnologie vengono utilizzate per smaltire il traffico e ritrovare bambini, quelle stesse tecnologie vengono utilizzate nello Xinjiang con la minoranza etnica uigura per spiare, osservare, controllare, reprimere e prelevare chiunque venga identificato come “pericoloso” per il regime.
Come ben nota la giornalista Liza Zin: “Esattamente come lo Xinjiang, anche Hangzhou funge da zona pilota per sperimentare il controllo sociale[…] la tecnologia usata dal Partito per terrorizzare e rieducare chi si oppone al regime può essere schierata anche per accarezzare e rassicurare chi invece vi collabora: una dinamica che si è mantenuta anche con l’espansione del suo modello di sorveglianza al di fuori dei confini cinesi”.