Il Sistema (in)visibile

Perché non siamo più padroni del nostro destino? Intervista con Marcello Foa

Perché non siamo più padroni del nostro destino? Intervista con Marcello Foa

Giovedì 16 Febbraio 2023

Dottor Foa, che cosa sono le “flex net”?

Le “flex net” sono le nuove reti del potere. Ho ripreso un concetto elaborato 10 anni or sono, con grande capacità analitica, da una studiosa americana, Janine Wedel, la quale, osservando la società americana e le élite al potere, ha compreso che le tradizionali categorie convenzionalmente utilizzate per descrivere il potere, come destra e sinistra, fossero obsolete e che al giorno d’oggi – nei tempo della globalizzazione – le flex net, queste reti del potere flessibili, consentono a chi detiene il potere, a chi guida il sistema della globalizzazione, di rivestire più cariche, di indossare più cappelli simultaneamente o in sequenza, accentuando il sistema delle “porte girevoli”, creando di fatto una élite non più fedele e rispondente al proprio partito o alla propria nazione, ma principalmente alla propria rete di appartenenza. Queste flex net sono difficili da individuare e sono molto abili nell’approfittare del concetto di destra e di sinistra e cavalcano con disinvoltura entrambe le etichette. L’analisi di Janine Wedel è molto interessante e trova perfettamente riscontro nell’abuso di una metodologia – a mio giudizio virtuosa – ovvero, quella della partnership tra pubblico e privato, fino a far coincidere e prevalere gli interessi privati sugli affari pubblici, senza che l’opinione pubblica lo venga a sapere.

Siccome ha accennato alla questione del partenariato pubblico-privato, può dirci qual è il ruolo svolto e il peso assunto dalle multinazionali e dai colossi finanziari sulle direzioni e sulle decisioni politiche ed economiche intraprese dai governi e dalle grandi organizzazioni intergovernative e sovranazionali?

In estrema sintesi, quando pensiamo alla politica, alla società, di solito siamo abituati a parlare di conflitto d’interessi, quando in realtà viviamo nell’epoca della “coincidenza degli interessi”. Perché le dinamiche che si sono sviluppate con la globalizzazione, tendono a far coincidere gli interessi di più soggetti: politici, economici, finanziari, fino all’industria militare, che finiscono per alimentarsi vicendevolmente nella stessa vorticosa direzione. Due aspetti sono importanti: da un lato, la capacità degli Stati nazionali è molto più ridotta di quello che pensiamo e siamo solitamente disposti ad ammettere, perché l’influenza, i condizionamenti, degli organismi sovranazionali è molto estesa e fanno sì che gli ambiti in cui uno Stato può veramente decidere e legiferare in materia autonoma siano molto ristretti. Oggi siamo in una situazione in cui i Paesi hanno un potere pari a quello di una macro-regione più che di uno stato sovrano, ma gli elettori continuano a pensare che i governi siano ancora sovrani e possano davvero cambiare le cose. Dall’altro, solitamente, le persone sono abituate a pensare che “sinistra” voglia dire più Stato e che “destra” voglia dire meno Stato; quel che emerge invece è una convergenza delle politiche economiche nella stessa direzione. Pensate che negli Stati Uniti, circa due terzi dei dipendenti pubblici sono in realtà dipendenti di aziende private, utilizzate per fornire servizi pubblici a spese dai contribuenti. Addirittura, questo riguarda i servizi di intelligence e militari. Questo ha delle conseguenze, perché mettere a regime di monopolio delle aziende private con un mandato lungo, senza concorrenza e con la possibilità di essere rinnovato, comporta nessun miglioramento del servizio fornito e di converso l’aumento degli utili di queste aziende. Quindi, con queste privatizzazioni, i costi dello Stato non diminuiscono, anzi aumentano e l’insoddisfazione dei cittadini anche. È il paradosso di questo sistema che riguarda non solo gli Stati Uniti, ma tende. A diffondersi in tutto l’Occidente. Eppure pochi ne parlano in questi termini ed è ovviamente un problema.

Lei, infatti, all’inizio del suo saggio, parla di “miopia intellettuale”, sostiene che gli analisti della nostra epoca sono in grado di analizzare la realtà solo dal loro punto di vista, solo dal lato del loro specifico punto di competenza, e smarriscono quindi il senso complessivo delle dinamiche e degli eventi che accadono. Ho capito male?

Sì, ritengo che il mondo intellettuale e accademico sia esageratamente specializzato e così perde la capacità olistica di osservare le situazioni, i problemi dall’alto. Ma, la società, che è così complessa e così interconnessa, necessita per essere compresa pienamente, di essere osservata dall’alto; questa era la grande capacità dei grandi intellettuali del passato, i quali, oltre a brillare nel proprio ambito si interessavano ad altre discipline. Questa insaziabile curiosità consentiva loro di sviluppare analisi e di trovare connessioni che altrimenti non avrebbero potuto elaborare. Questo è quel che cerco di fare: sviluppare un’analisi olistica che consenta di comprendere la realtà che viviamo.

Oltre all’aspetto delle flex net, lei si concentra su un altro aspetto preponderante. Quello della guerra cognitiva. Lei cita e spiega attraverso il romanzo "Il Montaggio" del russo Wolkoff e attraverso le teorie di Bezmenov su come disarticolare la società le tecniche che utilizzava l’URSS durante la guerra fredda per destabilizzare i Paesi e innescare le rivoluzioni socialiste. Lei sostiene che, da quando gli USA hanno sconfitto l’URSS, utilizzino queste tecniche per imporre il modello della globalizzazione. Sembra che l’URSS da grande nemico, si sia trasformato nel grande maestro? 

Partiamo da una considerazione: USA e URSS hanno rivaleggiato non soltanto attraverso canali politici ed economici convenzionali, che sono stati oggetto dell’analisi dei giornali e dell’opinione pubblica, ma attraverso strategie e tecniche di guerra culturale e psicologica applicate alle masse. L’intento ovviamente di entrambi era quello di influenzare l’opinione pubblica e portarla dalla propria parte. In questo ambito, il KGB è stato certamente molto più abile della CIA riuscendo a penetrare ampi strati della nostra società: il mondo culturale, il mondo dei media, il mondo del cinema, il mondo universitario. La CIA, dal canto suo, è stata più abile nel preservare la società americana e impedire che almeno negli USA queste infiltrazioni avessero successo. La mia tesi è sostenuta dai documenti desecretati della CIA e a diverse testimonianze riguardo al KGB. L’analisi di questi documenti e di quegli anni riservano tantissime sorprese. Per combattere questi scontri, sono state sviluppate delle tecniche di condizionamento delle masse che sono diventate “universali”, funzionano sempre scientificamente e quindi possono essere usate anche oggi. Partendo da questi presupposti appare evidente che per promuovere la globalizzazione gli USA hanno fatto ricorso a tecniche di influenza per diffondere un unico stile di vita, per cui chi vuol capire i meccanismi che spingono le masse a certe reazioni collettive soprattutto durante dei grandi eventi catalizzanti, deve conoscere e riconoscere l’antefatto della Guerra Fredda Culturale, perché conoscendolo molte reazioni che sembrano assurde, come l’abbraccio di un pensiero unico su determinati ambiti, appaiono invece rispondenti a precisi input e a precise logiche.

Dottor Foa lei, giustamente, osservava che la comprensione della realtà nella sua totalità necessita di un punto di vista olistico, di essere osservata dall’alto. Negli ultimi capitoli cita Shoshana Zuboff e "Il capitalismo della sorveglianza": quello che fanno questi tecnocrati è osservarci dall’alto. Quindi non è complottismo se, per comprendere a pieno certe dinamiche, le si osservano dall’alto?

I colossi della Sylicon Valley più che dall’alto ci osservano da dentro [ridiamo], nel senso che, purtroppo o per fortuna, Shoshana Zuboff ha scoperchiato il vaso di Pandora, su un argomento che in verità già altri studiosi avevano individuato, ma che la Zuboff è riuscita a spiegare con estrema chiarezza e completezza. La sintesi dello studio è che attraverso l’uso del digitale, il tracciamento della nostra personalità, delle nostre azioni, dei nostri gusti, delle relazioni, delle emozioni, del nostro essere, è talmente invasivo e pervasivo che quando questi guru affermano di conoscere le persone meglio di loro stesse, purtroppo la loro non è una battuta, né un’esagerazione, ma una verità. Questo è importante perché l’era del digitale apre degli scenari inquietanti per chi come me, tiene alla propria privacy e crede nella libertà e nella crescita personale dei cittadini. Purtroppo attraverso le tecnologie tramite operazioni subliminali questi signori delle big tech riescono ad influenzare, pensieri, emozioni addirittura gli stati d’animo delle persone, a far maturare idee e percezioni del mondo. Che questo accada e sia accaduto nelle dittature è evidente, ma che una propaganda invasiva e invisibile possa insinuarsi nelle nostre democrazie è allarmante ed è un problema che travalica le usuali categorie di distinzione della destra e della sinistra.

Il 25 febbraio farete una conferenza a Roma a cui parteciperanno, oltre a lei, anche Enrica Perucchietti, Francesco Giubilei, Francesco Borgonovo e tanti altri. Parlerete di transumanesimo, di gender, insomma a grandi linee anche di questi argomenti. Ne approfitto per chiederle se ha altri progetti editoriali in ballo.

Innanzitutto sono molto contento, il libro è alla terza ristampa e sto continuando ad essere invitato a presentare il libro in tutta Italia, sono molto soddisfatto fino ad aprile sarò impegnatissimo. Inoltre sto riflettendo sul modo di dare un seguito costruttivo a questo lavoro, a questo metodo interpretativo e di analisi della realtà.

Che possiamo dire prosegue sul filone de "Gli Stregoni della notizia"?

Sì, diciamo che in "Gli stregoni della notizia" mi focalizzavo sulle tecniche di manipolazione del sistema dell’informazione, mentre “Il Sistema (in)visibile” si concentra sulle tecniche di manipolazione  e condizionamento sulla società, ma lo spirito è lo stesso, dunque, in una certa misura, c’è continuità. 

Dottor Foa, lei è stato poco tempo fa in trasmissione, ospite da Riccardo Rocchesso, e le è stato chiesto come mai non fosse riuscito a incidere in un cambiamento della linea della RAI. Lei, giustamente, ha spiegato di essere stato abbandonato a se stesso. Se un giorno noi fossimo in grado di influire, di poter appunto scegliere il presidente o altre cariche, cosa dovremmo fare, che strategie dovremo adottare per cambiare certe dinamiche all’interno della Rai?

È un argomento molto articolato e complesso, tendenzialmente, purtroppo, è passata nell’opinione pubblica – e questa è responsabilità dei grillini – che bastino  poche mosse per cambiare il Paese e aprirlo come una scatoletta di tonno. Purtroppo, non è così, le istituzioni sono molto radicate e ci siamo tutti dimenticati della lezione di Gramsci, il quale sosteneva che o fai la rivoluzione, oppure bisogna penetrare i gangli dello Stato e mettere i propri uomini nei punti chiave e strutturarsi per operare dall'interno. Chi vuole cambiare il Paese deve prepararsi bene e fare i compiti a casa. Purtroppo, però, nessuno però lo fa.

Grazie mille Dottor Foa.

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