Il Governo Draghi, come nei migliori film Noir, nella tarda sera del 15 dicembre, presenta un emendamento all’ultimo minuto da inserire nel ddl. Concorrenza:
una dead line per valutare se i criteri in base ai quali ad alcuni comuni è stata affidata la gestione autonoma del Servizio Idrico siano ancora validi.
In caso contrario, questa tornerà nelle mani di un gestore unico, il quale, nell’ottica del Pnrr, potrebbe anche essere una Spa ad azionariato privato.
Era il 2014 quando “il Bomba” anche detto Matteo Renzi, provò a privatizzare l’acqua pubblica attraverso il decreto “Sblocca Italia” (legge 133/2014), dove però alla fine, venne prevista una clausola di salvaguardia a tutela dei comuni con meno di mille abitanti e il cui approvvigionamento provenisse da “fonti qualitativamente pregiate”, “sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali protette” o che presentino “utilizzo efficiente della risorsa e tutela del corpo idrico” (art. 147, comma 2-bis del decreto legislativo 152/2006).
Con il suddetto emendamento invece, presentato dall’Esecutivo a guida Draghi, verrebbe aggiunto a tale legge il seguente comma:
“Entro il 1 luglio 2022 le gestioni del servizio idrico in forma autonoma per le quali l’ente di governo dell’ambito non si sia ancora espresso sulla ricorrenza dei requisiti per la salvaguardia di cui al comma 2-bis, lettera b), confluiscono nella gestione unica individuata dal medesimo ente. Entro il 30 settembre 2022, l’ente di governo d’ambito provvede ad affidare al gestore unico tutte le gestioni non salvaguardate”
Ovvero entro il 1° Luglio 2022 per la rivalutazione di tali criteri, e nel caso in cui non venissero riconfermati, spetterà all’ente di governo preposto a tale compito, decidere le sorti dell’acqua ora in capo alla gestione comunale, con il rischio effettivo di un affidamento ad enti privati del bene Pubblico dal 30 settembre 2022.
E’ risaputo: a Draghi la Democrazia non piace, men che meno i referendum popolari e così, a 10 anni dal voto di 26 milioni di italiani che sancirono in maniera netta, che sull’acqua non si sarebbe potuto fare profitto, in quanto bene pubblico primario e strategico, il privatizzatore dell’industria pubblica italiana degl’anni 90, ora Presidente del Consiglio non eletto, ma con fiducia del Parlamento, prova ancora una volta a svendere i gioielli della Penisola.