Javier Milei: la risposta sbagliata alla domanda giusta

Il risultato delle presidenziali in Argentina è figlio di una spinta libertaria che va indirizzata

Il risultato delle presidenziali in Argentina è figlio di una spinta libertaria che va indirizzata

Martedì 21 Novembre 2023

La vittoria di Javier Milei alle presidenziali in Argentina conferma ciò che in Pro Italia diciamo da mesi: chi rifiuta l’attuale sistema è mosso da un afflato libertario.

Tale spinta non va demonizzata, anzi, va accolta, valorizzata e indirizzata nella giusta direzione. E contro il vero nemico. Diversamente, se lasciata senza guida, questa pulsione dalle motivazioni sacrosante darà solo il peggio di sé, premiando l’ennesimo contenitore di malcontento, l’ennesima valvola di sfogo. Ovvero l’ennesimo Javier Milei.

Alla base dell’afflato libertario che spira un po’ ovunque in Occidente - e nella cintura di asteroidi che vi ruota attorno - troviamo una genuina repulsione del modello attuale. Soffocati da un pensiero unico sempre più isterico e pervasivo, privati passo dopo passo delle proprie libertà personali e portati a vivere un’esistenza per molti versi vuota, tanti cittadini chiedono a gran voce una sola cosa: non rompeteci i coglioni. Vi sembra una richiesta grezza e inconcludente? Non lo è. È il sintomo di un malessere reale, concreto, alimentato dalla natura autoritaria della costruzione neoliberista. Perché non c’è libertà nel neoliberismo. Non c’è emancipazione, non c’è realizzazione di sé, non c’è benessere.

E verso chi viene scagliata questa rabbia? Ovviamente contro il leviatano che incarna l’imposizione di questo modello disumano: lo Stato. È lo stato a massacrarti di tasse, è lo stato a schiacciare il dissenso nelle piazze, è lo stato a imporre una burocrazia fantozziana, è lo stato a detenere il monopolio sull’educazione distorta nelle scuole. La statualità moderna, dalla natura ancora “novecentescamente etica”, ha ancora la pretesa di incarnare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, trattando i propri cittadini come eterni bambini incapaci di badare a se stessi. Non solo: i sostenitori delle politiche più liberticide sono sovente gli individui più legati all’apparato statale, come i dipendenti della pubblica amministrazione. Lo abbiamo tutti visto durante la follia del Green Pass, ad esempio.

Di fronte a tutto ciò, la conclusione che a molti sembra più logica è chiedere “meno Stato”. Una conclusione che, pur partendo da una necessità cruciale, risulta tragicamente errata. Perché lo Stato, oggi, si è auto-ridotto ad agire come mero esecutore di volontà sovranazionali e di agende nemiche della collettività. Difatti, quello a cui abbiamo assistito negli ultimi trent’anni è stato un lento arretramento dello Stato nella difesa dell’interesse nazionale, nella tutela delle attività locali, nella protezione delle famiglie. La stagione delle mega privatizzazioni ha accompagnato la nascita della Seconda Repubblica, nata nel culto del vincolo esterno e dei dogmi liberisti. Tutto è stato delegato verso organi lontani anni luce dal giudizio democratico e dalle istituzioni repubblicane. La classe politica italiana attuale – e non solo – è figlia della deresponsabilizzazione totale. Difatti, i più grandi rappresentanti del paradigma economico e politico vigente in Italia, ovvero i vari Monti e Draghi, professano da sempre lo smantellamento della sfera pubblica in funzione del predominio della finanza sans frontières e delle logiche del mercato globale, che tanto “si regola da solo”.

Fatta questa premessa, passiamo al risultato delle elezioni argentine. Milei, uscito trionfante dalle urne con il 55,8% dei voti, incarna il rigetto della narrazione globalista in materia di cultura woke, censura politicamente corretta e risoluzioni green sulle spalle dei meno abbienti. Tipo alquanto eccentrico - non a caso soprannominato “el loco” - il neo presidente ha improntato tutta la propria campagna su una retorica che ricorda il M5S dei primordi: guerra ai “politici corrotti” e alla “casta”. Una narrazione che ha fatto facilmente presa su una popolazione affranta da anni di disastri economici e da un’inflazione vicina al 150%.

Ammiratore di Trump e fiero filo-israeliano e membro del WEF (World Economic Forum) il leader de La libertà avanza (Lla) si è fatto fotografare più volte brandendo una motosega, il simbolo della sua lotta al sistema e agli sprechi del denaro pubblico. Sì perché “el loco” è un ultraliberista di ferro, tanto da aver dato ai propri cani i nomi degli economisti più vicini a tale dottrina, tra cui l’immancabile Milton Friedman, il re dei chicago boys, cantore dello “stato minimo”. Per Milei, dunque, l’acerrimo nemico da distruggere è la banca centrale, è la spesa a favore del settore pubblico - scuola e sanità in primis - ed è tutto ciò che si antepone alle leggi del mercato. Le liberalizzazioni selvagge - tra cui il possesso di armi da fuoco e la compravendita degli organi - vengono dipinte come rimedio alle politiche peroniste scialacquatrici, mentre la dollarizzazione come assicurazione contabile, con buona pace dell'economista argentino Roberto Frenkel che indicò proprio nella dollarizzazione il tallone d’achille di Buenos Aires.

Insomma, siamo di fronte a un alfiere dell’anarco-capitalismo, branca che trova parecchi apprezzamenti nel mondo della destra ostile alla sinistra woke, vista invece come quintessenza dello statalismo oppressivo e totalitario. Quello che sfugge a chi sposa questa analisi, oltremodo approssimativa, è che l’ideologia dominante, oggi, ha condensato il sé il peggio dello stato minimo e il peggio dello stato etico. Potremmo parlare anche dell’incontro malsano tra il peggio della sinistra post-marxista e il peggio della destra finanziaria.

In estrema sintesi: quella di Javier Milei è una risposta sbagliata a una domanda giusta.

Per l’Argentina è facile, purtroppo, prevedere un peggioramento della situazione. Le ricette neoliberiste le conosciamo bene, avendole subite sulla nostra pelle come italiani: saranno i pochi possessori dei grandi capitali a goderne i frutti, mentre le disparità economiche cresceranno, creando profonde spaccature in seno alla società e aprendo le porte alle svendite più spietate.

Questo significa che le politiche sinora adottate da Buenos Aires andassero bene così com’erano? Certo che no. Ma la toppa, spiace dirlo ai fratelli argentini – in gran parte discendenti da immigrati italiani – è peggiore del buco. Resta tuttavia la necessità di costruire uno stato che sia l’esatto opposto di quello attuale, debole e oppressivo. Uno stato forte e... umile.

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