Il governo Meloni si palesa ogni giorno di più come una propaggine del precedente esecutivo Draghi. Purtroppo tale consapevolezza, facilmente maturabile nei mesi precedenti, pare non essere ancora del tutto presente nella cosiddetta area del dissenso.
In molti hanno creduto e si ostinano a credere tutt'ora che Giorgia Meloni possa rappresentare una qualche forma di discontinuità con il passato. Questo errore di valutazione parte dal presupposto, ingenuo e insensato, che sia soprattutto il centrosinistra ad aver portato avanti le politiche di stampo neoliberista in Italia. Di conseguenza, chi sposa tale analisi confida che il centrodestra abbia in gestazione qualche idea dissonante che possa, magari accidentalmente, causare una falla nell'attuale sistema.
Noi di Pro Italia abbiamo più volte messo in guardia dal lasciarsi accarezzare da simili speranze. L'unica, sostanziale differenza che oggi intercorre tra la compagine "destra" e quella "sinistra" nell'arco parlamentare sta solo nella forma, non nella sostanza. Nessuna delle due parti osa scalfire le colonne portanti dell'impostazione neoliberista in campo economico e sociale. A partire dal ruolo dello Stato, che viene gestito (e pensato) come una famiglia gravata dai debiti e terrorizzata dal dover far quadrare il bilancio, anche a costo di tagliare servizi, salari e stipendi.
Prendiamo ad esempio la questione del PNRR. Si tratta di una lista di riforme atte a smantellare ciò che resta della capicita d'intervento pubblica e cedere ulteriori porzioni della nostra già scarna sovranità nazionale. In cambio di questo suicidio assistito, il nostro Paese ha la possibilità di accedere a "tranche" di finanziamenti (metà dei quali, ricordiamolo, sono prestiti), a patto di spenderli secondo le direttive della Commissione UE e solo a fronte di precisi obiettivi raggiunti. Insomma, uno strozzinaggio in piena regola.
In questo tetro scenario, Giorgetti, nuovo ministro dell'Economia in quota Lega, si è prontamente allineato al suo predecessore Franco. Questi, durante il Governo Draghi, pur di non indispettire Bruxelles aveva evitato di "metter fieno in cascina", cioè aveva evitato che il Tesoro emettesse un congruo ammontare di titoli di stato con cui avremmo potuto finanziarci a basso costo. Oggi invece, visto che la BCE ha smesso di acquistare nuovi titoli e addirittura annuncia di non voler rinnovare neppure tutti quelli in scadenza, i tassi sono nuovamente aumentati. E anziché contestare questa postura della Banca Centrale, Giorgetti si è affrettato a rassicurare la Commissione europea del fatto che l'Italia è pronta a raggiungere tutti i 55 obiettivi semestrali previsti nel PNRR. La stessa Meloni si è recentemente lamentata non del vincolo di spesa bensì del fatto che manchino ancora una trentina di compiti a casa da svolgere per attingere ai sacri soldi europei.
Persino il ministro dell'Istruzione Valditara ha assicurato che ogni cambiamento in ambito scolastico seguirà i dettami del PNRR. E se ci sarà da tagliare lo si farà, perchè, sorpresa delle sorprese, ce lo chiede l'Europa.
Davvero a qualcuno bastano due frecciatine contro le ONG (che comunque continuano imperterrite il loro traffico di esseri umani) e qualche sventolata di tricolore per parlare di cambiamento?