In Francia è appena stata approvata una legge che garantisce alle forze dell'ordine il potere di ottenere la geolocalizzazione dei sospetti attraverso gli smartphone. È un passo cruciale per realizzare quel regime della sorveglianza permanente verso cui molti Paesi occidentali (e non solo) si stanno infilando in maniera più o meno inconsapevole.
La dinamica è sempre la stessa. Una politica sempre meno all'altezza del proprio ruolo e sempre più svuotata delle proprie funzioni produce le condizioni ideali per l'insorgere di crisi che non è in grado di fronteggiare. Dunque, di fronte all'emergenza, ecco che arriva la risposta tecno-securitaria. Che, in maniera del tutto non casuale, comprime le libertà dei cittadini, comprese quelle politiche. La politica così si vuota ulteriormente e crea i presupposti per crisi ancor più gravi di fronte a cui risulterà sempre più inadeguata. E così via, avanti in questo ciclo perverso.
Opporsi a questa spirale, a questa deriva del controllo che stiamo subendo, che in ultima analisi è un attacco diretto a niente meno che il nostro libero arbitrio, è più urgente che mai. Ma non deve portarci a fare l'errore di sbraitare contro l'idea stessa di Stato, bollandolo come mero dispositivo che inevitabilmente finisce per esercitare proprio questo controllo pervasivo. Al contrario, abbiamo bisogno di uno Stato che sia autenticamente maturo e che sappia intervenire nel tessuto sociale ed economico della nostra società, con decisione ma senza invasività.
Insomma, ci serve uno Stato che sia di nuovo responsabile del suo operato di fronte alla comunità proprio perché nuovamente forte. E che, in virtù di questa sua forza, sappia farsi umile e stare al suo posto, rispettando con i fatti e non con le vuote chiacchiere la nostra libertà.