L'importanza di chiamarsi Ablerto

Qualche pensiero a partire da una scaramuccia social di inizio anno

Qualche pensiero a partire da una scaramuccia social di inizio anno

Domenica 7 Gennaio 2024

Qualche giorno fa, nella primissima settimana del 2024, su “X” – quel social che i nostalgici come me chiamano ancora Twitter – si è sollevata una baruffa non particolarmente edificante a partire da un post del buon Matteo (Brandi, naturalmente). Fin qui, direte voi, ordinaria amministrazione: i social sono fatti apposta per litigare. Vero. C’è però qualche elemento di riflessione che si può trarre da questo battibecco, o dibattibecco, che dall’inizio alla fine della sua (sconfortante) escalation è stato alimentato da nientepopodimenoche Alberto Bagnai, deputato nonché responsabile economico della Lega, e dalla community che ruota attorno al suo blog, Goofynomics.

Se non avete la più vaga idea di cosa vi stia raccontando... Beh, buon per voi. Vuol dire che durante le feste o, meglio ancora, nella vita siete riusciti a tenervi sufficientemente lontani dai social. Qualora vogliate andare avanti nella lettura di questo testo, che ben presto scoprirete esser nient’altro che una risposta non richiesta alle esternazioni di Bagnai, vi consiglio quindi di recuperare i passaggi chiave di questa querelle. Potete farlo scorrendovi i profili “X” di Matteo Brandi, Alberto Bagnai e Gilberto Trombetta (ebbene sì, per ragioni piuttosto incomprensibili pure il povero Gilberto è stato coinvolto nella contesa). Oppure, più rapidamente e più gustosamente, potete leggervi i resoconti della schermaglia offerti dalle prospettive dei tre contendenti. Vi basterà cliccare qui, qui, qui e qui. Sì, i qui sono quattro e non tre perché Bagnai ha dedicato ben due post del suo blog alla vicenda. Evidentemente era davvero importante.

Una nota: la scelta di non riassumervi la vicenda invitandovi ad attinger direttamente alle “fonti” è frutto di mera pigrizia, non certo dell’improbabile pretesa di propormi come osservatore imparziale ed equidistante. Che io sia di parte è piuttosto evidente, se non altro per il fatto che quanto scrivo appare sul sito di un partito che non è esattamente quello di Bagnai (non solo per le posizioni, ma anche per le proporzioni). In più trovo piuttosto comodo iniziare ad argomentare agganciandomi al secondo dei due post a tema pubblicati su Goofynomics. Quindi, se siete arrivati fin qui e non l’avete ancora fatto, fatevi un favore e date uno sguardo a quanto scritto qui.

Dopo la nota, c’è anche una premessa che mi pare doverosa. Per quanto distante dalla parabola del Bagnai politico, non intendo rinnegare i miei debiti nei confronti del Bagnai divulgatore. Come molti nel microcosmo sovranista, se negli anni sono riuscito a dotarmi di qualche conoscenza e qualche strumento utile per interpretare i fenomeni macroeconomici lo devo in buona misura all’opera di divulgazione di Ablerto. Attraverso la lettura di centinaia (migliaia?) di post su Goofynomics, ho avuto modo di acquisire non soltanto qualche nozione in più sulle crisi prodotte dall’austerità e dalla moneta unica ma soprattutto una bussola per orientarsi nella letteratura economica. Per capire, insomma, quali autori e quali testi andare a leggere. Lo metto in chiaro un po’ perché poche cose mi ripugnano quanto l’irriconoscenza, un po’ perché spero che aiuti a capire il tono, e il senso, di questo pezzo.

Dunque veniamo a noi. Se avete letto, e non dubito che ormai l’abbiate fatto, i quattro qui che vi ho proposto poco sopra, avrete capito che l’argomento addotto da Bagnai per legittimare la propria foga in questa polemica è il timore che i suoi lavori, nella fattispecie i suoi grafici, possano esser fraintesi o contestati qualora non vengano riproposti con sufficiente “rigore metodologico”. Ablerto nega a chiare lettere che la propria stizza di fronte al post di Matteo derivi dal mancato riconoscimento della paternità del grafico e spiega addirittura che non utilizza watermark o altri elementi che possano render identificabili le sue fatiche proprio per metterle a disposizione dei propri seguaci (una volta tanto questa traduzione di followers risulta calzante). Si smarca così dall’accusa di infantilismo che qualche malizioso avrebbe potuto sollevare (e.g. “mi hai copiato il graficooo!”) e assume la postura nobile dell’uomo di scienza d’altri tempi, pronto a offrire al prossimo i ritrovati della propria ricerca a una sola condizione: che questi non vengano riproposti grossolanamente rischiando di arrecar danno alla Causa.

Che cuore! Che magnanimità! Tutto bellissimo. Se non fosse che, soffermandosi un secondo a pensare, c’è qualcosa che non torna in questa posizione. Anzi, più di qualcosa.

In primis, l’obiezione che sta balenando in testa a molti di voi e che, giustamente, lo stesso Matteo ha subito esposto: che senso ha fare tutto ‘sto casino per... Una freddura? Eh sì, perché in fin dei conti la mela della discordia non è stata un paper o una quale dissertazione a tema economico, bensì questa semplice battuta. Battuta che, secondo Ablerto, presta il fianco alle critiche degli euristi di passaggio ponendosi in una “posizione dialettica debole” perché reca la dicitura “successo dell’euro” anziché “successo dell’austerità”. Ora, senza neanche entrare nel merito dello stretto rapporto fra moneta unica e austerità – ce l’hai spiegato tu, Able’ – è davvero possibile pensare che nel dibattito pubblico ci si possa conquistare una “posizione dialettica forte” grazie al rigore metodologico? Gli anni recenti hanno dimostrato a chiunque avesse un minimo di sale in zucca che il rigore metodologico non crea posizioni dialetticamente forti neppure nel contesto del dibattito scientifico. Figuriamoci cosa può produrre nel contesto di un social in cui i post hanno un limite di 280 caratteri.

In secondo luogo: come fa un docente universitario che ha fatto della divulgazione il fulcro della propria azione politica a ritenere inaccettabile la prospettiva che qualcuno dei propri studenti/lettori/elettori capisca male e riproponga peggio qualche argomentazione? Non serve trascorrere decenni dietro a una cattedra per sapere che si tratta di un’eventualità del tutto fisiologica. Quante più persone verranno edotte sui danni della moneta unica, tante più persone andranno in giro a spiegare con faciloneria che basterebbe “stampare moneta” per trovarsi immediatamente a vivere nel Paese di Bengodi. È perfettamente normale, nonché inevitabile. Certo, è legittimo auspicare che la percentuale dei pressappochisti sia quanto più bassa possibile. Altra cosa è pensare di poterla azzerare, magari mettendo all’indice chiunque pecchi di superficialità elevandolo al rango di nemico della Causa. È un atteggiamento settario, strutturalmente perdente, molto in voga proprio negli ambienti “gruppettari” contro cui Bagnai è solito scagliarsi.

Se questo non bastasse, c’è una terza crepa, più emotiva che logica e pertanto più evidente delle altre, nella posa prometeica con cui si propone Ablerto. È il fervore con cui si dedica a dimostrare che il povero Gilberto – ricordiamolo: tirato in mezzo alla disputa senza averne alcuna colpa – avrebbe copiato da Goofynomics i dati sulla mancata crescita dell’Italia. La lunga trattazione della svista di Gilberto (per come la vedo io, chiaramente di tipo lessicale anziché concettuale) non è infatti volta a mostrare che questi non ha capito, bensì a dimostrare che, siccome non ha capito, ha sicuramente copiato. Onestamente, questo piglio livoroso mal si concilia con la pretesa atarassia dello scienziato che non si cura minimamente della paternità dei propri risultati.

So già cosa stanno pensando i più impazienti: “Ok, ma era proprio necessario ‘sto sproloquio per dire che Bagnai, aldilà delle storielle accampate, in realtà era semplicemente piccato per il “furto” del proprio grafico?”

Sì.

E ora provo a spiegarvi il perché, così, magari, riesco a dare un senso al tempo che state investendo.

Quando Ablerto scrive di non aver mai insistito sull’originalità dei contenuti della propria divulgazione e di essersene sempre infischiato della proprietà intellettuale del sue tesi... Dice il vero. O perlomeno, fino a qualche tempo fa, questo era perfettamente vero. Oggi invece, in tutta evidenza, si irrita perché non vede citato il suo nome in una freddura su Twitter che riporta un suo grafico. Qualcosa dev’esser cambiato negli ultimi anni. E quel qualcosa, dal canto mio, fa rima con irritazione. “Frustrazione.”

“Ma via, sei ridicolo! Tu che rappresenti un partitino che conta sì e no un migliaio di militanti in tutta Italia vieni a parlarci della frustrazione di uno che è stato cinque anni in Senato, ora è deputato e fa il responsabile economico del secondo partito nella coalizione di Governo?”

Per la seconda volta:

sì.

E il motivo è molto semplice: al contrario di quanto non pensino i fessi, non c’è stipendio o posizione di prestigio che possa lenire il bruciore del fallimento politico. A patto, naturalmente, che si creda alle proprie idee. E Bagnai, secondo me, ci crede ancora. Per questo è frustrato, al punto da indisporsi per una sciocchezza o doversi (sottolineo il si) raccontare il voto sulla ratifica del MES come un successo strepitoso. Sì, so che su quest’ultimo punto si potrebbe discutere a lungo ma adesso non voglio indugiarci più di tanto. Pur essendo stato fra quelli che il 21 dicembre scorso hanno tirato un sospiro di sollievo, mi tocca constatare che se dieci anni fa qualcuno avesse detto ad Ablerto che il maggior successo politico che avrebbe potuto conseguire sarebbe stato bloccare una riforma peggiorativa del MES (ai tempi neppure concepita) proprio nelle stesse ore in cui un ministro del suo stesso partito avrebbe sottoscritto un accordo per una riforma tragicomica del Patto di Stabilità, il tutto all’interno della cornice di un’Italia già commissariata via PNRR... Beh, non è difficile immaginare dove sarebbe stato mandato dall’allora rampante professore.

Insomma, tutta questa triste ma – speriamo – istruttiva vicenda non è altro che l’ennesimo frutto di una scommessa politica platealmente persa. O, per dirla più propriamente, di un approccio alla politica organicamente vocato alla sconfitta. Pensare, come fa Ablerto, che enunciare delle “verità scientifiche” con “rigore metodologico” possa di per sé produrre qualche risultato politico è, banalmente, ingenuo. Non è affatto vero che, di fronte a un’uscita euro-critica formulata in maniera impeccabile, l’eurista di passaggio evocato più volte da Bagnai si mostri disponibile a cambiar idea, magari congratulandosi per l’eleganza del formalismo impiegato. E purtroppo lo stesso vale per l’indeciso di passaggio, che certamente non prenderà posizione nell’agone dialettico in virtù della precisione metodologica con cui si presentano le tesi.

Si noti fra l’altro che Ablerto, almeno a livello razionale, è perfettamente consapevole di questa, ovvia, considerazione. E infatti più volte nel corso della stagione pandemica si è speso sulle colonne del blog per spiegare a tutti coloro che agitavano dei peiper sciendifigi per denunciare l’insensatezza e la bestialità di quanto veniva imposto a suon di DPCM e decreti-legge che “la verità non è un valore politico”. E in effetti le verità con la “v” minuscola, come quella scientifica o quella storica, appartengono al campo dello spirito oggettivo, sono saldamente ancorate alla dinamica dei rapporti di forza e di questi si configurano come conseguenza, non come causa. Invocarle nel tentativo di realizzare dei cambiamenti politici serve a ben poco. Peccato che, spostando questo ragionamento dall’ambito sanitario a quello economico, Ablerto pare non volerlo accettare. Forse perché ritiene la propria materia intrinsecamente più carica di politica dell’epidemiologia? Possibile, ma francamente m’importa poco. Rannicchiandosi dietro alla necessità del massimo “rigore metodologico”, Bagnai assume nei confronti delle proprie idee la postura di un’infermierina zelante, sempre pronta a somministrarle al prossimo a patto che sia lei e soltanto lei a praticare l’iniezione. Sia mai che qualcun altro si confonda e finisca per iniettare sul culo quanto andava iniettato nel braccio!

Cogliete la debolezza di quest’approccio? Forse forse – ne dubito – potrebbe funzionare in qualche fase embrionale di un dibattito scientifico. Di sicuro però è perdente nel dibattito pubblico. Non foss’altro perché dimostra ipso facto la fragilità delle idee messe in campo.

Perché un’idea possa sfondare nel discorso pubblico non ha bisogno d’esser vera (nel senso scientifico del termine) o, men che meno, d’esser argomentata con precisione formale. Non dev’esser affilata come un rasoio, al contrario, dev’essere brutale come una clava. Dev’essere potente. E un’idea potente è un’idea capace di racchiudere in sé un’identità in cui le persone possano riconoscersi nella maniera più trasversale possibile. In spregio a ogni forma di materialismo dialettico, si potrebbe addirittura arrivare a sostenere che la potenza di un’idea non dipenda affatto dalle verità che contiene, quanto semmai dalle Verità (assolute) a cui riesce a riconnettersi. E oggi questo è più vero che mai: da almeno un decennio la reazione alla volontà di cancellare dalla storia quella “V” maiuscola è il propulsore profondo d’ogni sussulto di qualche rilievo nella politica dei Paesi occidentali.

Purtroppo però Ablerto (e non solo lui, ci mancherebbe) non ha avuto le capacità o, forse, il coraggio per dotarsi di un’idea potente, che fosse in grado di trainare tutte quelle verità espresse con rigore tecnico dietro cui ama trincerarsi (sui social, in Parlamento un po’ meno). Sottolineo la parola “coraggio” perché, a onor del vero, ce ne vuole parecchio per far propria un’idea che sia autenticamente alternativa e farsene alfiere. In parte perché abbracciare un dispositivo ideologico del tutto inedito è incompatibile con la diffusissima esigenza (ossessione?) di doversi sempre e comunque mostrare intelligenti. In parte perché un impianto ideologico degno di questo nome impone a chi vi aderisce (e, dunque, lo sviluppa) di trascendere il confortevole alveo delle proprie competenze e addentrarsi in terreni sconosciuti che, proprio perché inesplorati, costituiscono gli unici spazi dove è davvero possibile saggiare la robustezza dell’infrastruttura concettuale.

“Tutto qua.” (-cit.)

Alla fine della fiera, era questa la riflessione che mi sono trovato a masticare leggendo la scazzottata a mezzo social da cui siamo partiti e... Nulla, volevo consegnarvela in tutta la sua banalità. Per ottenere delle vittorie in politica ci vuol coraggio. E chi pensa se ne possa far a meno arroccandosi sulla saldezza delle proprie verità, si tratti del gruppettaro de sinistra o del responsabile economico della Lega, fa la stessa fine: perde.

 

P.S. Non troppo tempo fa Ablerto, nel corso di un altro diverbio su “X”, ha apostrofato con poco garbo un profilo dietro a cui lui stesso aveva sperato di aver trovato “il Bagnai della climatologia”. Non conosco bene quell’utente, ma di una cosa sono certo: se li cercheremo, scopriremo che in Italia ci sono decine di Bagnai. Della climatologia, dell’epidemiologia, della virologia e persino della sessuologia.
Il problema è che ci manca ancora il Bagnai della politica.

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