Il 9 maggio 1978 segna una data importante per la storia del nostro Paese. In quella mattina di 46 anni fa, a Roma, veniva ritrovato dopo 55 giorni di prigionia il corpo senza vita di Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana e figura politica di spicco negli anni della cosiddetta "prima Repubblica".
In pochi sanno che, nelle stesse ore, in Sicilia, il giornalista e attivista Peppino Impastato veniva assassinato dalla mafia.
Impastato era noto per la sua lotta contro Cosa Nostra e la sua denuncia del sistema criminale palermitano. Per screditarlo, i suoi assassini inscenarono un attentato terroristico suicida, facendo esplodere il suo corpo con del tritolo. Solo grazie alla tenacia della madre e del fratello, la verità sulla sua morte venne alla luce, trasformandolo in un simbolo della lotta contro la mafia.
Vogliamo oggi ricordare Peppino Impastato attraverso alcune parole che, più o meno a ragione, vengono a lui attribuite:
"Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante nel davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione a rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore".
Queste parole ci pongono di fronte a una riflessione profonda sul ruolo della bellezza nella vita dell'uomo e, soprattutto, sulla necessità di educare le nuove generazioni a riconoscerla e apprezzarla. In queste poche frasi emerge con forza come la mancanza di sensibilità estetica possa portare a una pericolosa rassegnazione, a un'accettazione passiva del degrado e della bruttezza che ci circondano.
Viviamo in un mondo in cui siamo costantemente bombardati da stimoli visivi, spesso di bassa qualità. Il paesaggio urbano è deturpato da palazzi anonimi e la pubblicità ci propone modelli di bellezza stereotipati e, quanto meno, discutibili.
Ci abituiamo a questa bruttezza, la assimiliamo come parte integrante del nostro quotidiano, e perdiamo la capacità di indignarci, di ribellarci, di immaginare un mondo diverso.
Educare alla bellezza significa, innanzitutto, risvegliare la curiosità e lo stupore. Insegnare a guardare il mondo con occhi nuovi, a cogliere i dettagli, a riconoscere l'armonia e la disarmonia delle forme, a distinguere l'autentico dal falso, il bello dal brutto. Significa stimolare la capacità di giudizio critico, di mettere in discussione ciò che ci viene presentato come "normale", di rifiutare l'omologazione e la banalità.
L'educazione alla bellezza non deve limitarsi all'arte e alla cultura, ma deve abbracciare ogni aspetto della vita. Dal modo in cui ci vestiamo a quello in cui arrediamo le nostre case, dal modo in cui parliamo a quello in cui ci relazioniamo con gli altri. La bellezza è un valore universale, che può essere trovato ovunque, anche nelle piccole cose.
Ma educare alla bellezza significa anche educare alla responsabilità. La bellezza del nostro ambiente, delle nostre città, dei nostri paesaggi è un patrimonio comune che abbiamo il dovere di tutelare e valorizzare. Significa impegnarsi attivamente per contrastare il degrado e la bruttezza, per promuovere un mondo più armonioso e vivibile per tutti.
Educare alla bellezza è un investimento sul futuro. Un futuro verso il quale non dobbiamo essere trascinati passivamente dagli eventi, ma che dobbiamo prenderci passo dopo passo.
Magari, con uno sguardo nuovo. Uno sguardo che parta da un qualcosa che noi italiani, possiamo dirlo, abbiamo financo nel nostro patrimonio genetico: la bellezza.