A 70 anni dalla nascita di Eni, la visione di Enrico Mattei mostra ancora oggi la strada più saggia da seguire per l’Italia anche nella disputa israelo-palestinese.
Il grande imprenditore patriota seppe prevedere, con grande lungimiranza, la sollevazione dei popoli arabi nell’area mediterranea. Il desiderio di autodeterminazione spirava forte, nel dopoguerra, dalla Libia all’Egitto, arrivando ovviamente alla Terra Santa. Ed essendo da sempre imprescindibile per la nostra nazione difendere e sfruttare la propria centralità nel Mediterraneo, Mattei capì che l’Eni avrebbe potuto giocare un ruolo decisivo nella disputa geopolitica dell’area.
La sfida alle sette sorelle del cartello petrolifero passò dunque dall’intessitura di rapporti proficui e vantaggiosi con i movimenti indipendentisti arabi affacciati sull’antico Mare Nostrum. Non contratti di sfruttamento spietati, al pari di quelli che le compagnie americane, inglesi e francesi solevano stipulare con i paesi del terzo mondo, bensì accordi equilibrati e vantaggiosi. L’Eni arrivò a garantire tre quarti dei compensi alle nazioni in cui operava per l’estrazione del petrolio, garantendo inoltre la costruzione di infrastrutture e garantendo sviluppo, cooperazione e assistenza ingegneristica in loco.
Questa strategia intelligente portò presto i suoi frutti: l’Italia divenne un interlocutore primario per varie realtà arabe (e non solo) ansiose di liberarsi del giogo dei vecchi padroni coloniali anglosassoni e francesi. Anche le relazioni italiane l’Iran conobbero uno slancio. Nei confronti del neonato stato israeliano la posizione di Mattei fu da sempre irremovibile: “l’Eni non tratta con Israele”. Probabilmente vi fu lo zampino di Mattei anche nella fondazione dell’Opec, ovvero nell’organizzazione dei paesi produttori di petrolio, nata nel 1960. Un rapporto che, tuttavia, l’Italia lentamente gettò alle ortiche e subendo la rappresaglia della crisi petrolifera (causata dalla guerra dello Yom Kippur del 1973) scatenata dai paesi produttori arabi contro i paesi filo-israeliani. Una crisi che, ricordiamo, portò a quell’ondata inflattiva che venne cavalcata in Italia per giustificare l’infausto divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro del 1981.
Dunque per l’Italia la politica estera migliore nei confronti dell’eterna guerra israelo-palestinese, riesplosa in questi giorni con una violenza inaudita, non può che essere quella del dialogo verso il Medio Oriente. È la Storia stessa a dimostrarlo. Gettarsi fanaticamente da una parte, quella israeliana, inimicandosi il mondo arabo sulle sponde del Mediterraneo è un suicidio. Lo è da punto di vista politico, strategico ed energetico (si parla di nuovi problemi di approvvigionamento di gas e petrolio, già gravati dagli effetti delle folli sanzioni alla Russia).
Questo non significa supportare la violenza di Hamas, bensì inquadrarne l’esistenza e le azioni, per quanto efferate, nella lotta per la libertà del popolo palestinese. Un popolo che merita di vivere in uno stato libero e sovrano, riconosciuto a livello globale. Queste, come disse Bettino Craxi in un famoso intervento in parlamento, sono le regole della Storia. E noi, nella Storia, vogliamo tornare.