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La crisi migratoria esplosa al confine fra Polonia e Bielorussia evidenzia l'incoerenza di Bruxelles

La crisi migratoria esplosa al confine fra Polonia e Bielorussia evidenzia l'incoerenza di Bruxelles

Lunedì 15 Novembre 2021

Ricordate tutta quella polemica scoppiata fra vertici UE e Governo polacco sulla questione dello stato di diritto violato? Riuscite a richiamare alla memoria le accuse che la Von der Leyen ha rivolto alla Polonia, minacciando multe e blocchi dei fondi europei? Sì? Riuscite a ricordare?

E grazie che ci riuscite: non è passato manco un mese da allora. Eppure, ad ascoltare le dichiarazioni pronunciate in questi giorni da Michel, Presidente del Consiglio Europeo, è già acqua passata. Anzi, l’Unione di fronte a una nuova crisi migratoria ha espresso tutta la propria solidarietà alla Polonia e sta addirittura valutando la possibilità di finanziare la costruzione di un muro ai confini orientali.

Avete capito bene. Quell’Europa che – Mattarella dixit – è nata “per abbattere i muri, per eliminare i fili spinati, per costruire un mondo di persone libere, uguali nella loro diversità” sta spalleggiando Varsavia mentre migliaia di migranti provenienti dalla Bielorussia vengono respinti con la forza dall’esercito polacco. E, dulcis in fundo, a Bruxelles si sta seriamente discutendo l’opportunità di sostenere le spese per edificare una barriera che non avrebbe nulla da invidiare al muro fra Stati Uniti e Messico di trumpiana memoria.

Proviamo quindi a ripercorrere i fatti delle ultime settimane per capire come si sia arrivati a questo scenario tragicomico. E magari proviamo anche a inquadrare questa vicenda all’interno di una prospettiva storica più generale, che in questi giorni si è arricchita dell’ennesimo attestato della totale inconsistenza (geopolitica ma non solo) della sovrastruttura europea.

A partire dalla fine di ottobre, a neanche due settimane dalla sentenza della corte costituzionale polacca che aveva portato ai ferri corti, almeno apparentemente, Bruxelles e Varsavia, centinaia e poi migliaia di migranti hanno iniziato ad attraversare il confine fra Bielorussia e Polonia con l’obiettivo di raggiungere l’Europa occidentale. Il 7 novembre il Governo polacco, dopo aver disposto una serie di operazioni della polizia regionale che hanno portato all’arresto di qualche decina di profughi, ha deciso reagire con la forza schierando dodicimila soldati lungo i propri confini, con tanto di elicotteri e carri armati.  

Naturalmente la situazione è divenuta subito incandescente. Minsk ha a sua volta cominciato a mobilitare le proprie forze armate e così le migliaia di migranti che in questi giorni si sono sparpagliate nei gelidi boschi della zona si sono ritrovate schiacciate in una situazione a dir poco terribile. Da qui l’ipocrita solidarietà dei vertici europei al Governo di Morawiecki, fino al giorno prima additato come un pericoloso autocrate.

Ebbene, di fronte a tutto questo, almeno due domande sorgono spontanee. In primis, perché questa nuova crisi migratoria sboccia su un confine “inedito” come quello polacco? E, ancor più interessante, come mai l’Unione Europea ha improvvisamente messo da parte la canonica retorica immigrazionista, schierandosi in quattro e quattr’otto al fianco della Polonia nonostante la complessità di questa crisi?

Per rispondere alla prima domanda basta ripercorrere la storia recente. Nell’ultimo decennio, infatti, il ricatto esercitato attraverso i flussi migratori è diventato uno strumento di pressione straordinariamente efficace contro gli Stati sempre più depressi del Vecchio Continente. Per capire di cosa stiamo parlando basta pensare a Erdogan che, già dal 2016, grazie al controllo sulla rotta balcanica, è riuscito a spillare alla Commissione Europea la bellezza di tre miliardi di euro l’anno per chiudere ai profughi mediorientali i confini occidentali della Turchia.  

Non sorprende dunque che anche Lukashenko, con l’appoggio neppure troppo celato del Cremlino, stia adottando la stessa tattica, per quanto volta a perseguire obiettivi differenti. La debolezza dimostrata in passato dalle istituzioni europee su questo tema costituisce un’opportunità troppo ghiotta per non esser sfruttata da tutti quei soggetti politici che non si fanno troppi scrupoli a utilizzare i migranti come arma non convenzionale.

E qui veniamo alla seconda domanda: per rispondere e provare a capire le ragioni del radicale cambio di rotta di Bruxelles, può servire dare un’occhiata a una mappa politica dell’Europa orientale. La Polonia costituisce di fatto il perno centrale del contenimento messo in atto dagli americani ai danni della Russia e dei suoi satelliti. Varsavia stessa reclama per sé questo ruolo, anche in nome della significativa russofobia diffusa nel popolo polacco per ragioni storiche piuttosto note.

Minsk dunque non sta facendo altro che sfruttare i migranti come strumento di pressione per allentare la stretta del cordone sanitario atlantico. E, in quest’ottica, diventa piuttosto chiaro il senso delle esternazioni di Michel e degli alti papaveri UE, corsi a difendere a spada tratta la Polonia dimenticandosi per una volta la solita narrazione sull’accoglienza a tutti i costi. Alla faccia di noi italiani, che dalle istituzioni europee continuiamo a ricevere da anni un profluvio di lezioncine sull’importanza dell’integrazione ma nessun tipo di sostegno concreto. Del resto noi fronteggiamo una crisi migratoria permessa (se non provocata) da una manciata di capi tribù libici: cosa volete che gliene importi alla Casa Bianca, e quindi a Michel?

A tutti coloro che ancora si ostinano a vedere nell’UE un viatico per la costituzione di un unico attore geopolitico continentale che possa davvero far fronte allo strapotere delle altre superpotenze, questa vicenda dovrebbe aprire gli occhi. Piaccia o non piaccia, la costruzione europea rimarrà sempre e comunque una succursale dell’impero americano. E per quanto l’Unione abbia indiscutibilmente sviluppato delle proprie alterità, quando si giocano partite di una qualche rilevanza strategica l’allineamento fra Bruxelles e Washington lo si può dare tranquillamente per scontato.

Mettiamocelo bene in testa: il prezzo politico di quest’inconsistenza e di questa palese sudditanza è una debolezza che grava su tutti i Paesi europei. E sull’Italia, come al solito, più degli altri.

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