Le notizie che arrivano dal distretto di Mitrovica, nel Kosovo settentrionale, sono a dir poco drammatiche. Non è chiaro se negli scontri esplosi ieri pomeriggio vi siano stati dei morti, ma si parla di almeno un centinaio di feriti fra manifestanti serbi, poliziotti kosovari e militari della KFOR, la forza militare NATO a presidio della regione. Dei 34 soldati feriti, ben quattordici sono italiani e tre versano al momento in gravi condizioni.
È dalla fine del 2021, a partire dalle proteste provocate dalla decisione delle autorità kosovare di metter fuori regola le auto dotate di targa serba, che la tensione in quest'area dei Balcani cresce di giorno in giorno. Nella fattispecie, la scintilla che ha fatto deflagrare le violenze di ieri sono state le elezioni indette sotto l'egida di Pristina in quattro comuni del distretto: la maggioranza serba della popolazione ha boicottato il voto e così sono stati eletti quattro sindaci con un totale di 1500 voti (a fronte di più di 45000 aventi diritto). Per metter in sicurezza l'insediamento delle nuove giunte nei rispettivi municipi di fronte alla prospettiva di contestazioni, il Governo kosovaro ha mobilitato le forze speciali. E così le manifestazioni sono diventate prima proteste e poi scontri veri e propri tra civili serbi e polizia kosovara.
È questo lo scenario in cui si è inserita la KFOR, che è di fatto intervenuta a difesa delle forze dell'ordine kosovare innalzando ulteriormente il livello del conflitto. Di fronte al lancio di molotov e oggetti contundenti, la risposta a base di proiettili di gomma e granate stordenti non si è fatta attendere. Si noti che quest'azione costituisce a tutti gli effetti un inedito: per anni regole d'ingaggio piuttosto stringenti avevano evitato l'intervento diretto dei soldati NATO nelle tensioni nel Kosovo settentrionale. Evidentemente qualcosa è cambiato e non è difficile immaginare perché: dal 24 febbraio 2022, l'aggressività occidentale nei confronti di Mosca e dei suoi alleati storici, prima fra tutti Belgrado, per ovvi motivi si è fatta decisamente più esplicita.
Di fronte all’escalation in corso, sarebbe interesse strategico del nostro Paese ritagliarsi un ruolo centrale nella mediazione di questo conflitto. La nostra influenza storica sulla sponda orientale dell'Adriatico e la collocazione equidistante fra le parti in causa farebbero dell’Italia la nazione più indicata per agevolare una pacificazione in quest’area balcanica. E invece, per l’ennesima volta, dei soldati italiani si trovano a rischiare la propria vita partecipando a una missione che, di fatto, contribuisce ad amplificare, anziché arginare, delle tensioni che destabilizzano il nostro estero vicino.
La stagione di assoluta instabilità in cui è entrata la Storia ci ricorda e ci ricorderà sempre più spesso nei prossimi anni quanto sia urgente uscire dalla passività che ha caratterizzato la nostra politica estera dal 1992 in poi. Diventare consapevoli del nostro posto nel mondo e riacquisire la postura eretta necessaria a perseguire i nostri interessi... Non è più un’opzione.