Valle Peligna. Quest’ampio spazio dell’Abruzzo interno, ricco di arte, di storia, di tradizioni, è stretto nell’abbraccio d’imponenti catene montuose. Ferdinando Gregorovius affermò: “Com’è incomparabilmente grande qui la Natura! Ugualmente grandi sono le vestigia della Storia”. Eppure tale grandezza è stata per lungo tempo taciuta. Gli accadimenti storici, per dirla con l'espressione di Rudolf Steiner, sono sovente una fable convenue.
Le vicende che mi accingo a narrare sono un esempio eclatante di quanto sia necessario imparare conoscere la Storia da prospettive molteplici e differenti. Se a un qualsiasi studente fosse chiesto il nome delle città capitali d’Italia, sicuramente, dopo Roma, potrebbe citare Firenze o Torino. Nessuno, escluso un manipolo di scolari, sarebbe in grado di sostenere che la prima capitale d’Italia fu un minuscolo borgo della Conca Peligna, incastonato come un gioiello su di un dirupo scosceso: Corfinio.
Per la sua centralità rispetto ai principali paesi abruzzesi (posizione strategica sulla Via Valeria, prosecuzione della Via Tiburtina), per l’inaccessibilità del luogo, oltre che per il carattere fiero e indomito dei suoi abitanti, Corfinio, già metropoli circondata da mura alte e robuste, città insigne e grande, fu scelta, nel 91 a. C. come capitale degli Italici. Qui si svolse il giuramento della Lega Italica, cioè di tutti quei popoli che insorsero contro Roma nella Guerra Sociale.
La Treccani così recita: Corfinio. Comune della provincia di L’Aquila. È l’antica Corphinium, importante città dei Peligni. Durante la guerra sociale (90-89 a.C.) gli alleati contro Roma la elessero capitale con il nome Italica.
Dipaniamo i fatti dall’inizio. La Valle Peligna è incisa da fiumi che hanno scavato solchi appariscenti su quello che fu anticamente il fondo di un lago. Circa diecimila anni or sono, un immane cataclisma, forse provocato da un’eruzione vulcanica, ruppe la montagna verso nord. Le acque del lago defluirono verso la Val Pescara, lasciando per lungo tempo un terreno fangoso. Se questa è l’origine geomorfologica della valle, risulta attendibile l’ipotesi che fa derivare il nome Peligni dalla voce greca peline (fangoso). Il clima mite e il terreno fertile richiamarono fin dalla preistoria i primi abitanti, come testimoniano gli oggetti rinvenuti presso la città di Popoli.
Genti italiche
Prima dell’unificazione del territorio italiano, la nostra penisola era abitata da popoli differenti per lingua, usi e costumi. Dalla metà del terzo millennio a.C., infatti, numerose popolazioni si erano stabilite nella parte centro-meridionale della penisola, spingendosi fino alla Sicilia: Latini, Osci, Umbri, Etruschi. La necessità di garantirsi la sopravvivenza originò la pratica rituale del Ver Sacrum (Primavera Sacra), esodo forzato verso nuovi territori. Fu, probabilmente, in tal modo che da queste popolazioni si staccarono nuovi nuclei, fra i quali i Marsi (intorno al lago del Fucino, oggi Avezzano), i Volsci, i Piceni, gli Aequi, i Vestini, i Peligni (nel territorio attraversato dal medio corso dell’Aterno).
Fra le diverse popolazioni italiche vi erano naturalmente differenze linguistiche; dialetti oschi, ad esempio, erano parlati da Frentani, Irpini, Apuli, Campani, Lucani, Brutii; mentre Sabini, Vestini, Marrucini, Peligni, Marsi parlavano dialetti sabellici che presentavano caratteri attinti sia dall’umbro, sia dall’osco.
Nel risistemare il diverso materiale per la stesura di quest’articolo, mi ha catturato la seguente affermazione: “Alle diversità linguistiche facevano riscontro atteggiamenti politici diversi: le popolazioni sabelliche nutrivano una profonda aspirazione all’unione politico-sociale con le altre entità etnico-linguistiche; invece in quelle osche era fortemente radicata l’inclinazione all’indipendenza e al separatismo”. È come dire che in ogni nome, sia esso individuale o di popolo, è racchiuso il suo stesso essere, la sua individualità. Non nomina nuda tenemus ma nomi ricchi di essenza. Nell’animo dei Peligni, genti sabelliche (sabine), come ci ricorda Ovidio, viveva un anelito alla diffusione degli stessi diritti, un forte senso di condivisione, ma altresì un desiderio d’indipendenza. La costituzione politica dei popoli peligni era, in effetti, ispirata alla libertà. Plinio parla di Pelignorum Corfinienses, Superaequani et Sulmonenses.
Il territorio della Valle Peligna era, pertanto, suddiviso in tre ambiti, dominati dalle tre città di Corphinium, Superaequum e Sulmo. Ogni contado viveva separato dall’altro nel proprio sistema socio-economico, ognuno governato da un capo scelto direttamente dalla popolazione. Tutti gli studiosi descrivono i Peligni quale popolo distinto e conservante la sua nazionalità separata. Un popolo libero ma fiero, pronto a lottare affinché quella libertà fosse dominio di tutti. Le prime notizie storiche sui Peligni risalgono al 343 a.C. ma vi sono indicazioni di date precedenti. Essi furono alleati dei Romani nelle tre guerre puniche, nella battaglia di Zama (202 a.C.) e in quella di Pidna (168 a. C.). Strabone riassume così il ruolo storico degli Italici:
“Questi popoli sono piccoli ma valorosissimi e spesso mostrarono questo loro valore ai Romani, dapprima quando guerreggiarono contro di loro, in un secondo momento quando combatterono al loro fianco, in un terzo tempo quando intrapresero la guerra chiamata Marsica“.
Cioè la Guerra Sociale.
Le rivendicazioni dei socii italici
...che l’amore per la libertà spinse a una giusta guerra (Ovidio)
Roma era divenuta padrona dell’Italia centro-meridionale, le cui popolazioni iniziarono ad assumere lingua, cultura e organizzazione politico-economica, oltre che militare, della vincitrice. Sul finire del II secolo a.C. nacque negli Italici l’aspirazione alla piena cittadinanza e alcuni politici romani la favorirono, forse non nel nome di ideali democratici, quanto temendo che la povertà e la contrazione demografica della classe contadina finissero col privare Roma dell’apporto di valenti soldati.
Essere cittadini voleva dire essere liberi, avere diritto al voto, agli onori, amministrare un patrimonio, essere padroni della propria casa. Il concetto di cittadinanza incarnava dunque un ideale umano oltre che giuridico. Quando la Roma precristiana aveva iniziato la sua ascesa, assoggettando gran parte dei popoli della penisola, si era limitata a concedere a taluni la cittadinanza latina o, secondo criteri legati al censo, quella romana, pensando in tal modo di mantenere il controllo in base al principio del “divide et impera“. Già dal tempo dei Gracchi si avanzavano proposte d’estensione dei diritti ad altri popoli italici federati, ma senza successo. La speranza era che a Roma prevalesse il partito di chi voleva concedere la cittadinanza. Nel 91 a.C. il tribuno Marco Livio Druso, vincendo le opposizioni, riuscì a far ottenere agli Italici tale beneficio. Purtroppo, assassinato Druso, il tribuno Quinto Varo fece abrogare la legge, scatenando il malcontento delle popolazioni. Un tentativo di accordo tra le parti fallì a causa di una rivolta scoppiata ad Asculum, dove furono uccisi tutti i cittadini romani presenti nella città.
Spinti dalla solidarietà e dal senso di uguaglianza, chiedendo la soppressione dei debiti, l’estensione dei diritti di proprietà, denunciando i privilegi economici e politici della nobiltà, gli Italici decisero di rompere gli indugi e di battersi. Gli insorti si riunirono in un’assemblea per discutere su come reagire alle prepotenze di Roma. Vi parteciparono Marsi, Peligni, Marrucini, Piceni, Sanniti, Apuli, Bruzii, Campani, Frentani, Irpini, Lucani, Opici, Oschi, Piceni, Sabelli, Sabini, Salentini… Fu stipulato il patto sociale e venne istituito un primo nucleo di Stato Italiano con una struttura politica simile a quella di Roma. Furono eletti due consoli, il marso Popedio Silone e il sannita Papio Mutilo, dodici pretori, nonché un Senato di 500 membri.
Fu nominata capitale Corphinium, cui fu imposto l’appellativo di Italica. Gli Italici, in verità, non furono gli inventori del nome, bensì della sua accezione politica. Il significato di questo termine così prestigioso si è perso, infatti, nel tempo. Un’ipotesi sostiene che il termine derivi dal latino vitulus (vitello), un’altra da un principe di nome Italo. Secondo il filologo pugliese GiovanniSemerano, invece, il nome Italia può avere origine mesopotamica e significherebbe terra del tramonto.
Quale sia l’origine corretta, oggi difficilmente verificabile, per la prima volta questa parola, assumendo significato e corpo politico, venne acclamata proprio in Abruzzo, a Corphinium, centro propulsore della Guerra Sociale contro Roma. Nacquero così, in terra peligna, il concetto politico-sociale di Italia e quello di cultura italica, come rappresentazione del desiderio dei popoli di vivere in una società civilmente paritetica.
Corfinio fu dotata di strutture analoghe a quelle romane, quali la Curia, sede del Senato Italico, e il Foro, dove si svolgevano le manifestazioni politiche, giudiziarie e commerciali. Si coniarono monete d’argento. La più rappresentativa fu quella che si contrapponeva al denarius romano; recava, nel diritto, una testa femminile coronata d’alloro, con la scritta ITALIA e, nel rovescio, otto guerrieri, schierati in due righe con le spade rivolte verso il basso, nell’atto di giurare fedeltà alla Lega Italica; al centro un nono uomo nell’atto di raccogliere e sancire il giuramento. Con tali monete. la Lega causò la svalutazione di due terzi del denarius romano.
La guerra
..quando Roma angosciata temette le schiere confederate (Ovidio)
La guerra, dichiarata dai Marsi al principio dell’autunno del 91 a.C. e iniziata sul campo nella primavera successiva, divampò con fasi alterne, specialmente in Abruzzo e in Campania; molti gli scontri, migliaia i caduti da ambo le parti. A guidare i valorosi popoli italici, legati fra loro da un desiderio comune, fu Quinto Popedio Silone, amico di Druso e valoroso condottiero marso. Lo scontro fece registrare la prevalenza delle armi italiche e condusse Roma ad un passo dalla sconfitta, precipitandola nel lutto, nella paura e nella crisi economica. Oltre trecentomila i morti.
Dopo il primo anno di combattimenti l’esercito romano riprese fiducia grazie al carisma e all’intelligenza tattica di Caio Mario e, in seguito, di Lucio Cornelio Silla. Due leggi accordarono i diritti di cittadinanza ai popoli italici rimasti neutrali (Legge Giulia, 90 a. C. e Legge Plautia Papiria, 89-88 a.C.), estendendoli a tutti i singoli italici che si fossero ritirati dal conflitto. Nel 79 a. C. la dittatura del vincitore, Silla, spense definitivamente le ultime resistenze degli Italici, che, pur nella sconfitta, ottennero i diritti di uguaglianza politica e sociale che Roma si era ostinata a negare nel corso di mezzo secolo di lotte politiche. La durissima guerra restò a lungo nella memoria dei Romani, tanto da essere presa come punto di riferimento per le date. Fu rimossa poi dalla memoria collettiva, sì da essere oggi sconosciuta ai più. Se Silla non avesse sfaldato la compattezza della Confederazione degli Italici con la graduale concessione di quei benefici che avevano scatenato le ostilità, Roma difficilmente avrebbe conservato la supremazia sulla penisola.
Il sangue versato, le sofferenze patite da soldati e civili furono il prezzo pagato per ottenere l’integrazione delle popolazioni peninsulari, storico presupposto dell’odierna Italia “una, libera e indivisibile”. Corphinium e le città italiche divennero in seguito municipium romani. ll nome Corfinio, sostituito con quello di Pentima, ricomparve solo nel 1928.