Pro italiano

Difendere la lingua italiana significa liberare l'intero paese

Difendere la lingua italiana significa liberare l'intero paese

Venerdì 22 Aprile 2022

Nelle conversazioni quotidiane, nella lettura dei testi giornalistici, di quelli scolastici e di formazione superiore, in quelli di attualità o di commento personale sulle varie piattaforme interattive, nella messaggistica istantanea, nell’ascolto delle canzoni ed in quello radiofonico in genere, nelle pubblicità, nell’assistere a spettacoli o intrattenimenti televisivi, nelle competizioni sportive, nei titoli del cinema quanto in quelli delle mostre, finanche nel passeggiare nelle nostre città soffermandoci sui nomi dei nuovi edifici e dei nuovi quartieri, in quelli degli esercizi commerciali o nella scelta di prodotti, di cibi o bevande, nel gergo settoriale - trasversalmente e senza soluzione di continuità dall’imprenditoria finanziaria all’ambito giuridico, istituzionale o sanitario, così come dall’industria all’agricoltura, all’arte - assistiamo ad un’inesorabile e pluridecennale erosione dell’italiano.

La lingua italiana sta vivendo una profonda trasformazione sul cui corpo si apprezzano chiaramente le involuzioni tanatologiche proprie di ciò che da vivente ed organico ha cessato di essere. Risulta, infatti, sempre più una rarità riscontrare nello scritto e nel parlato, un’intera produzione in lingua italiana scevra da forestierismi, quale che sia l’ambito o il registro utilizzato. L’inserimento di singoli termini esotici all’interno di un’oratoria o di un elaborato ha perduto il suo connotato di eleganza, unicità e potere evocativo nella comunicazione. Ciò che era un neo aggiunto al proprio volto dalle dame del ‘700 quale elemento caratterizzante e seducente, un cammeo come dettaglio di raffinatezza e ricercatezza si è trasformato in una spasmodica e prevaricante creolizzazione della lingua italiana che oggi annaspa travolta da una straripante ed omnipervasiva inondazione di parole straniere.

La lingua italiana odierna, ben lungi dal purismo oltranzista, non appare più una lingua viva dotata di propria e sempre riconoscibile identità; risulta altresì privata dell’intrinseco potere evoluzionistico e neologenetico in relazione alle nuove realtà ed esigenze emergenti, lavorative e societarie, principalmente dettate dalla digitalizzazione della vita quotidiana e da tutte le corollarie manifestazioni. Lo stato attuale evidenzia una marezzatura in cui gli innesti stranieri, da sporadici elementi in una comunicazione, mostrano una pluralizzazione ed una capacità organizzatrice tale da rendere, in casi limite, sempre più difficoltoso determinare quale delle due parti - italiano o straniero - sia la preponderante. 

Nello specifico l’italiano è preda non tanto di molteplici forestierismi, ciascuno dotato di analoga pressione lessicale magari dettata dalla limitrofia geografica, come per la fisiologica commistione o bilinguismo delle zone di confine, quanto da una sola dominante lingua che rapacemente artiglia in una morsa soffocante il nostro idioma: l’inglese.

La ragione di questa schiacciante superiorità non risiede meramente nella paventata facilità di utilizzo ed acquisizione di tale lingua quanto in chiari motivi storico-politici.

La sconfitta nel secondo conflitto mondiale ha determinato un profondo cambiamento nella società e nella cultura italiane. La principale forza vincitrice nell’Europa Occidentale, gli Stati Uniti d’America, annientando le forze occupanti tedesche e sostituendosi ad esse, ha impiantato sul territorio nazionale un radicato apparato militare e politico sostenuto dalla promozione, attraverso ogni mezzo di comunicazione, di uno stile ed una concezione di vita su modello statunitense. Trattasi infatti non già di una inglesizzazione della lingua italiana quanto di una più profonda americanizzazione della società; di una colonizzazione dello Stato Italiano.

L’uso di una lingua straniera  nel lessico colloquiale nonché in quello lavorativo, ufficiale ed istituzionale è il più profondo e completo elemento testimoniante lo stato di subalternità di un Popolo; ne manifesta l’avvenuta sottomissione, ancorpiù dimostra l’accettazione - sino ad un’oicofobica difesa - della propria inferiorità nei rapporti di forza con il dominante. Come ebbe a dire il Generale von Lohausen “la diffusione di una lingua è più importante di ogni altra espansione, poiché la spada può solo delimitare il territorio e l’economia sfruttarlo, ma la lingua conserva e riempie il territorio conquistato”. 

 

 

Svalorizzazione dell’italiano

Da appannaggio di ambienti finanziari e di classi sociali medio-alte come affrancamento dal resto del popolo e segno di istruzione, quindi di superiorità ad esso, l’uso indiscriminato di parole e locuzioni in inglese si è diffuso ampiamente in tutti gli strati sociali acquisendo, soprattutto nelle nuove generazioni, la foggia di strumento alienante dalla condizione ontologica di essere italiano, di appartenere ad un Paese percepito come arretrato, retrogrado, inerte ed inutile nella sua storica bellezza. Ciò è ben evidente laddove la ricerca spasmodica dell’utilizzo di termini inglesi nelle proprie frasi conferisce all’oratore-scrittore un senso di superiorità e modernità. Costoro credono in tal modo di ammantarsi di un’aura internazionale, di elevarsi non già dal provincialismo in generale quanto specificatamente dall’essere italiano che appare quindi un retaggio non voluto, una livrea vetusta ed ostacolante, una condizione non scelta, della quale non si è colpevoli (salvo colpevolizzare i genitori), un peccato originale dal quale bisogna mondarsi proiettandosi verso ciò che è fluido, flessibile, ibrido ed utile, spinti da una continua ricerca di riconoscimento ed apprezzamento sociale rispetto agli attuali effimeri ma coercenti paradigmi societari globali. 

Tale condizione assume caratteri grotteschi quando si evince che moltissimi, tra coloro che infarciscono ampiamente le loro comunicazioni con anglicismi, non abbiano invero contezza, conoscenza né possesso effettivo della lingua inglese. Non si tratta di un vantaggioso bilinguismo ma il loro linguaggio appare tosto un deturpamento, una snaturalizzazione ed una modifica più o meno volontaria della lingua madre.

La svalorizzazione dell’italiano è il duplice risultato della subordinazione politico-sociale del nostro Paese e della narrazione martellante di un’Italia presentata come piccola,  approssimativa, giustamente vincolata a gestioni esterne poiché incapace di provvedere a se stessa ed al suo bene; un’Italia sminuita ad -etta, ben lontana dall’essere “libera e grande” come imperato dal motto abbracciante il dipinto che campeggia sul soffitto della Sala Maccari di Palazzo Madama. 

Quest’immagine dell’Italietta propugnata con spregio ed ilarità da detrattori esterni ed interni svincola la condizione attuale del Bel Paese dalla sua meravigliosa plurimillenaria Storia e ne forza criminosamente una distorta visione di mediocrità nell’immaginario collettivo. Un’evidente obliazione di sé.

 

Egemonia culturale

È dunque in questo contesto di introiezione della subalternità che si riconosce la devastante forza motrice di destrutturazione e rimozione dell’italiano: l’egemonia culturale. 

Le parole inglesi vengono imposte e spinte nel linguaggio comune ed ufficiale da giornalisti, multinazionali ed addirittura dalle istituzioni come, ad esempio, ha ben evidenziato Francesco Ricciardi in un suo recente contributo: dal 2018 le domande di finanziamento per i Progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin) così come per il Fondo italiano per la scienza (Fis) devono essere esclusivamente presentate in inglese, altrimenti vengono considerate addirittura irricevibili. La lingua italiana dunque, per le istituzioni italiane, diviene irricevibile.

Lo sconcertante fenomeno è così penetrante nella nostra civiltà che nel linguaggio quotidiano si assiste all’inversione del fisiologico processo di traduzione od italianizzazione delle parole straniere le quali non solo vengono acquisite così come generate in lingua originale ma arrivano a rimuovere l’eventuale preesistente analoga parola in italiano, sostituendosi progressivamente e definitivamente ad essa. Il completamento di questo processo comporta un ulteriore risvolto: l’effetto paradosso di sostituzione. Con tale termine intendo la sperimentazione di grave difficoltà o di franca incapacità per molti utilizzatori di anglicismi di tradurre in italiano parole che utilizzano di sovente in inglese. Al contempo permane per gli utilizzatori la comprensione del significato della parola e la pertinenza dell’utilizzo nei contesti pur non essendo in grado di tradurla direttamente se non parafrasandone il significato o fornendone esempi di applicazione. Il vocabolario italiano di questi individui risulta pertanto progressivamente contratto, quindi impoverito. 

Le resistenze al bombardamento a tappeto della lingua inglese cui soggiace quasi inerme l’italiano sono certamente flebili, disorganizzate e qualora palesate e manifeste tacciate spesso demenzialmente di sciovinismo. 

La lingua italiana si scopre privata, salvo pregevolissime eccezioni, di araldi e difensori, nonché di promotori che ne patrocinino l’integrità ed una fisiologica ed auspicata evoluzione secondo le regole della grammatica e della sintassi italiane. Anche quest’ultime, peraltro, sono oggetto di un processo di semplificazione e di involuzione grammaticale che vede sempre meno adoperato il congiuntivo ed il futuro ai quali viene preferito costantemente un presente indicativo ipertrofico, espanso. 

Oltre la spinta esogena di parole e locuzioni inglesi dettate dalla mercatocrazia, dal cinema e dalle multinazionali che ormai non traducono più in italiano titoli, nomi e richiami commerciali nelle loro pubblicità, tra le principali forze destruenti un triste primato è quello della collaborazionistica azione endogena di buona parte della categoria dei giornalisti nostrani. Questi, dall’alto del ruolo formativo (e non solo informativo) che ricoprono, pur assicurando loro il beneficio del dubbio, dell’ignoranza e dell’essere involontariamente succubi essi stessi della pressione societaria, mietono quotidianamente vittime con i loro articoli traboccanti di termini inglesi. Letteralmente, il fuoco amico.

Le implicazioni di questa apparentemente inarrestabile deriva non si esauriscono nell’ambito della comunicazione e del linguaggio ma penetrano profondamente nella società ed ancorpiù nel Popolo il quale vede una sua mutazione profonda, viscerale, essenziale, ontologica. 

Un Popolo è caratterizzato da un territorio, da usi e costumi e da una lingua. 

Ci possono essere Popoli senza territorio ma non esistono Popoli senza lingua. 

L’idioma ha una potentissima forza plasmante sul Popolo e quindi sul singolo in quanto forgia il pensiero, lo incanala, lo modella secondo le parole che conosce per descrivere l’oggettivo - gli altri da sé ed il mondo - ed il soggettivo - le emozioni e l’identità.

Lingua e pensiero hanno tra loro rapporti di interdipendenza. I gradi e le modalità di questi rapporti sono stati postulati a più riprese da molteplici studi tra i quali spicca certamente la nota ipotesi di Sapir-Whorf in cui si riconosce un’azione deterministica del linguaggio sul pensiero ed il cui postulato può essere espresso dall’assioma “dire è pensare”.

Un secondo assioma, storicamente rilevabile, è che “la lingua è identità”. La lingua caratterizza il soggetto e la sua comunità. La forza di questo legame è sublimata dalle disumane pulizie etniche e dai genocidi - di cui la Storia mestamente fornisce numerosi esempi - in cui proprio la lingua è caratterizzante la differenza tra i gruppi etnici all’interno di un medesimo territorio, tanto del gruppo minoritario (o più debole) perseguitato quanto di quello maggioritario (o più forte) persecutore.

 

Dell’arroganza dell’inglese e la subalternità e l’involuzione dell’italiano

Un noto proverbio motteggia “se pecora ti fai, il lupo ti mangia”. E ciò è proprio quel che sta avvenendo tra l’italiano - oramai inconsapevole e dimentico della sua identità e grandezza - ed un inglese sempre più arrogante. L’azione prevaricatrice è ben evidente  nel quotidiano, nei sistemi operativi dei nostri telefoni o nelle applicazioni, soprattutto di sviluppo statunitense. Infatti in questi, impostando come lingua prescelta l’italiano permangono numerosissimi vocaboli in inglese. Ciò non avviene se si impostasse come lingua il francese, lo spagnolo od il russo; in questi casi le parole che nella scelta dell’italiano permangono in inglese appaiono invece tradotte nella lingua prescelta, fatti salvi alcuni sporadici elementi che evidenziano comunque una palese disparità di trattamento e - per estensione- di rispetto nei confronti di un italiano (ed un’Italia) sempre più debole. Lo stesso è rilevabile semplicemente utilizzando i traduttori di lingua sui comuni motori di ricerca: provando a tradurre da inglese ad italiano molte parole vengono mantenute in lingua inglese, cosa che non avviene, ad esempio, con il francese. 

Questo è reso possibile poiché non v’è, da parte italiana, alcuna rimostranza che sia organizzata e men che meno ufficiale in risposta ad una simile azione. 

La subalternità della lingua italiana e la più vasta sottomissione culturale è dimostrata anche nella dizione di parole e sigle italianissime che automaticamente, ed ignorantemente, vengono pronunciate in inglese come avviene in maniera sistematica per la nota sigla dei dispositivi di protezione individuale. 

L’Italia è assuefatta in uno stato di inferiorità che pare ormai aver accettato ed assimilato, narcotizzata in un torpore profondo ai limiti di uno stato comatoso dal quale è necessario destarla prima del sopraggiungere della morte.

 

Pro italiano

La lingua che fu di Dante, di Manzoni e di D’Annunzio è un bene comune che ha un’eredità da difendere, un futuro da vivere, valori da trasmettere. 

Dinnanzi ad un’evidente aggressione esterna ed un’involuzione interna è quindi necessario promuovere una risposta istituzionale attraverso una legiferazione ad uopo che sappia salvaguardare la lingua italiana e tesaurizzarne l’inestimabile patrimonio fronteggiando e neutralizzando efficacemente la compulsiva detrazione di cui è oggetto. 

Un ruolo centrale è certamente rivestito dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca il quale ha il compito di elevare ogni cittadino, ogni individuo attraverso la cultura. Tornare dunque all’insegnamento, sostanziarlo, garantire l’acquisizione delle conoscenze verificandole con prove che ne saggino l’avvenuto apprendimento. Potenziare la formazione tanto dei discenti quanto dei docenti affinché da ambo i lati della cattedra possano colmarsi quelle lacune che decenni di “buona scuola” hanno contribuito a generare. Investire dunque nella scuola e nell’istruzione a tutti i livelli seminando e coltivando la cultura della lingua italiana cosicché quale che sia l’ambito di realizzazione  ed applicazione del singolo individuo, questo porti con sé la conoscenza della lingua della sua terra, del suo popolo.

Promuoviamo dunque l’italiano in ogni ambito. Utilizziamolo nella produzione di testi tecnici, nella ricerca scientifica, nelle arti ma soprattutto torniamo orgogliosamente a parlarlo. Riappropriamoci della nostra lingua e della nostra identità; contribuiamo alla sua diffusione ed alla sua espansione proponendo all’occorrenza neologismi che sappiano descrivere e nominare la realtà corrente e le sue evoluzioni. Una lingua viva.

Di seguito riporto una breve lista di parole e locuzioni con diversi campi di applicazione che forse non tutti saranno in grado di rapportare all’analogo vocabolo che utilizzano quotidianamente in inglese.

Cibo, bevande, promotori, patrocinio, tutto compreso, senza limiti, pubblico, parrucchiere, barbiere, dopobarba, centro benessere, unghie, trucco, acconciatura, ristorante, asporto, posto, luogo, locale, guardia del corpo, tesserino, imballaggio e confezione, angolo, correttezza, intervallo, pausa, pallacanestro, pallavolo, partita, rete, ammonizione, eliminatoria, Legge sul Lavoro, sondaggi urnali, importazione ed esportazione, piano gestionale, agente ed intermediario, marchio, estratto, riassunto, sommario, buona prassi, visita di controllo, diritto d’autore, assistenza al cliente, scadenza, scaricare, caricare, redattore, opinione, riscontro, lacuna, intervallo, fine settimana, laboratorio e seminario, autocontrollo, autoscatto, acquisti e compere, spazio espositivo ed esposizione, negozio, accoglienza e ricevimento, tempo parziale e tempo pieno, riunione, assemblea, incontro, basso costo, umore, lettera, posta elettronica, documento, dal vivo, in rete, accesso, al rallentatore, videochiamata, biglietto di mobilità o di uno spettacolo, tributo sanitario, tempistiche, artista, dispositivo, sistema operativo, componente logico, programma informatico, consegna a domicilio, posta rapida e prioritaria, bufale e notizie false, modulo, schermo tattile, scalo, nuovo ingresso, confinamento, potenziamento, aspetto, unità o squadra operativa.

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